Title: La Divina Commedia di Dante: Paradiso
Author: Dante Alighieri
Release date: August 1, 1997 [eBook #1011]
                Most recently updated: October 29, 2024
Language: Italian
Credits: Produced by an anonymous Project Gutenberg volunteer. HTML
        version by Al Haines.
  La gloria di colui che tutto move
  per luniverso penetra, e risplende
  in una parte più e meno altrove.
  Nel ciel che più de la sua luce prende
  fu io, e vidi cose che ridire
  né sa né può chi di là sù discende;
  perché appressando sé al suo disire,
  nostro intelletto si profonda tanto,
  che dietro la memoria non può ire.
  Veramente quant io del regno santo
  ne la mia mente potei far tesoro,
  sarà ora materia del mio canto.
  O buono Appollo, a lultimo lavoro
  fammi del tuo valor sì fatto vaso,
  come dimandi a dar lamato alloro.
  Infino a qui lun giogo di Parnaso
  assai mi fu; ma or con amendue
  mè uopo intrar ne laringo rimaso.
  Entra nel petto mio, e spira tue
  sì come quando Marsïa traesti
  de la vagina de le membra sue.
  O divina virtù, se mi ti presti
  tanto che lombra del beato regno
  segnata nel mio capo io manifesti,
  vedrami al piè del tuo diletto legno
  venire, e coronarmi de le foglie
  che la materia e tu mi farai degno.
  Sì rade volte, padre, se ne coglie
  per trïunfare o cesare o poeta,
  colpa e vergogna de lumane voglie,
  che parturir letizia in su la lieta
  delfica deïtà dovria la fronda
  peneia, quando alcun di sé asseta.
  Poca favilla gran fiamma seconda:
  forse di retro a me con miglior voci
  si pregherà perché Cirra risponda.
  Surge ai mortali per diverse foci
  la lucerna del mondo; ma da quella
  che quattro cerchi giugne con tre croci,
  con miglior corso e con migliore stella
  esce congiunta, e la mondana cera
  più a suo modo tempera e suggella.
  Fatto avea di là mane e di qua sera
  tal foce, e quasi tutto era là bianco
  quello emisperio, e laltra parte nera,
  quando Beatrice in sul sinistro fianco
  vidi rivolta e riguardar nel sole:
  aguglia sì non li saffisse unquanco.
  E sì come secondo raggio suole
  uscir del primo e risalire in suso,
  pur come pelegrin che tornar vuole,
  così de latto suo, per li occhi infuso
  ne limagine mia, il mio si fece,
  e fissi li occhi al sole oltre nostr uso.
  Molto è licito là, che qui non lece
  a le nostre virtù, mercé del loco
  fatto per proprio de lumana spece.
  Io nol soffersi molto, né sì poco,
  chio nol vedessi sfavillar dintorno,
  com ferro che bogliente esce del foco;
  e di sùbito parve giorno a giorno
  essere aggiunto, come quei che puote
  avesse il ciel dun altro sole addorno.
  Beatrice tutta ne letterne rote
  fissa con li occhi stava; e io in lei
  le luci fissi, di là sù rimote.
  Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
  qual si fé Glauco nel gustar de lerba
  che l fé consorto in mar de li altri dèi.
  Trasumanar significar per verba
  non si poria; però lessemplo basti
  a cui esperïenza grazia serba.
  Si era sol di me quel che creasti
  novellamente, amor che l ciel governi,
  tu l sai, che col tuo lume mi levasti.
  Quando la rota che tu sempiterni
  desiderato, a sé mi fece atteso
  con larmonia che temperi e discerni,
  parvemi tanto allor del cielo acceso
  de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
  lago non fece alcun tanto disteso.
  La novità del suono e l grande lume
  di lor cagion maccesero un disio
  mai non sentito di cotanto acume.
  Ond ella, che vedea me sì com io,
  a quïetarmi lanimo commosso,
  pria chio a dimandar, la bocca aprio
  e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
  col falso imaginar, sì che non vedi
  ciò che vedresti se lavessi scosso.
  Tu non se in terra, sì come tu credi;
  ma folgore, fuggendo il proprio sito,
  non corse come tu chad esso riedi».
  Sio fui del primo dubbio disvestito
  per le sorrise parolette brevi,
  dentro ad un nuovo più fu inretito
  e dissi: «Già contento requïevi
  di grande ammirazion; ma ora ammiro
  com io trascenda questi corpi levi».
  Ond ella, appresso dun pïo sospiro,
  li occhi drizzò ver me con quel sembiante
  che madre fa sovra figlio deliro,
  e cominciò: «Le cose tutte quante
  hanno ordine tra loro, e questo è forma
  che luniverso a Dio fa simigliante.
  Qui veggion lalte creature lorma
  de letterno valore, il qual è fine
  al quale è fatta la toccata norma.
  Ne lordine chio dico sono accline
  tutte nature, per diverse sorti,
  più al principio loro e men vicine;
  onde si muovono a diversi porti
  per lo gran mar de lessere, e ciascuna
  con istinto a lei dato che la porti.
  Questi ne porta il foco inver la luna;
  questi ne cor mortali è permotore;
  questi la terra in sé stringe e aduna;
  né pur le creature che son fore
  dintelligenza quest arco saetta,
  ma quelle channo intelletto e amore.
  La provedenza, che cotanto assetta,
  del suo lume fa l ciel sempre quïeto
  nel qual si volge quel cha maggior fretta;
  e ora lì, come a sito decreto,
  cen porta la virtù di quella corda
  che ciò che scocca drizza in segno lieto.
  Vero è che, come forma non saccorda
  molte fïate a lintenzion de larte,
  perch a risponder la materia è sorda,
  così da questo corso si diparte
  talor la creatura, cha podere
  di piegar, così pinta, in altra parte;
  e sì come veder si può cadere
  foco di nube, sì limpeto primo
  latterra torto da falso piacere.
  Non dei più ammirar, se bene stimo,
  lo tuo salir, se non come dun rivo
  se dalto monte scende giuso ad imo.
  Maraviglia sarebbe in te se, privo
  dimpedimento, giù ti fossi assiso,
  com a terra quïete in foco vivo».
  Quinci rivolse inver lo cielo il viso.
  O voi che siete in piccioletta barca,
  desiderosi dascoltar, seguiti
  dietro al mio legno che cantando varca,
  tornate a riveder li vostri liti:
  non vi mettete in pelago, ché forse,
  perdendo me, rimarreste smarriti.
  Lacqua chio prendo già mai non si corse;
  Minerva spira, e conducemi Appollo,
  e nove Muse mi dimostran lOrse.
  Voialtri pochi che drizzaste il collo
  per tempo al pan de li angeli, del quale
  vivesi qui ma non sen vien satollo,
  metter potete ben per lalto sale
  vostro navigio, servando mio solco
  dinanzi a lacqua che ritorna equale.
  Que glorïosi che passaro al Colco
  non sammiraron come voi farete,
  quando Iasón vider fatto bifolco.
  La concreata e perpetüa sete
  del deïforme regno cen portava
  veloci quasi come l ciel vedete.
  Beatrice in suso, e io in lei guardava;
  e forse in tanto in quanto un quadrel posa
  e vola e da la noce si dischiava,
  giunto mi vidi ove mirabil cosa
  mi torse il viso a sé; e però quella
  cui non potea mia cura essere ascosa,
  volta ver me, sì lieta come bella,
  «Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
  «che nha congiunti con la prima stella».
  Parev a me che nube ne coprisse
  lucida, spessa, solida e pulita,
  quasi adamante che lo sol ferisse.
  Per entro sé letterna margarita
  ne ricevette, com acqua recepe
  raggio di luce permanendo unita.
  Sio era corpo, e qui non si concepe
  com una dimensione altra patio,
  chesser convien se corpo in corpo repe,
  accender ne dovria più il disio
  di veder quella essenza in che si vede
  come nostra natura e Dio sunio.
  Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
  non dimostrato, ma fia per sé noto
  a guisa del ver primo che luom crede.
  Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
  com esser posso più, ringrazio lui
  lo qual dal mortal mondo mha remoto.
  Ma ditemi: che son li segni bui
  di questo corpo, che là giuso in terra
  fan di Cain favoleggiare altrui?».
  Ella sorrise alquanto, e poi «Selli erra
  loppinïon», mi disse, «di mortali
  dove chiave di senso non diserra,
  certo non ti dovrien punger li strali
  dammirazione omai, poi dietro ai sensi
  vedi che la ragione ha corte lali.
  Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
  E io: «Ciò che nappar qua sù diverso
  credo che fanno i corpi rari e densi».
  Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
  nel falso il creder tuo, se bene ascolti
  largomentar chio li farò avverso.
  La spera ottava vi dimostra molti
  lumi, li quali e nel quale e nel quanto
  notar si posson di diversi volti.
  Se raro e denso ciò facesser tanto,
  una sola virtù sarebbe in tutti,
  più e men distributa e altrettanto.
  Virtù diverse esser convegnon frutti
  di princìpi formali, e quei, for chuno,
  seguiterieno a tua ragion distrutti.
  Ancor, se raro fosse di quel bruno
  cagion che tu dimandi, o doltre in parte
  fora di sua materia sì digiuno
  esto pianeto, o, sì come comparte
  lo grasso e l magro un corpo, così questo
  nel suo volume cangerebbe carte.
  Se l primo fosse, fora manifesto
  ne leclissi del sol, per trasparere
  lo lume come in altro raro ingesto.
  Questo non è: però è da vedere
  de laltro; e selli avvien chio laltro cassi,
  falsificato fia lo tuo parere.
  Selli è che questo raro non trapassi,
  esser conviene un termine da onde
  lo suo contrario più passar non lassi;
  e indi laltrui raggio si rifonde
  così come color torna per vetro
  lo qual di retro a sé piombo nasconde.
  Or dirai tu chel si dimostra tetro
  ivi lo raggio più che in altre parti,
  per esser lì refratto più a retro.
  Da questa instanza può deliberarti
  esperïenza, se già mai la provi,
  chesser suol fonte ai rivi di vostr arti.
  Tre specchi prenderai; e i due rimovi
  da te dun modo, e laltro, più rimosso,
  trambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
  Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
  ti stea un lume che i tre specchi accenda
  e torni a te da tutti ripercosso.
  Ben che nel quanto tanto non si stenda
  la vista più lontana, lì vedrai
  come convien chigualmente risplenda.
  Or, come ai colpi de li caldi rai
  de la neve riman nudo il suggetto
  e dal colore e dal freddo primai,
  così rimaso te ne lintelletto
  voglio informar di luce sì vivace,
  che ti tremolerà nel suo aspetto.
  Dentro dal ciel de la divina pace
  si gira un corpo ne la cui virtute
  lesser di tutto suo contento giace.
  Lo ciel seguente, cha tante vedute,
  quell esser parte per diverse essenze,
  da lui distratte e da lui contenute.
  Li altri giron per varie differenze
  le distinzion che dentro da sé hanno
  dispongono a lor fini e lor semenze.
  Questi organi del mondo così vanno,
  come tu vedi omai, di grado in grado,
  che di sù prendono e di sotto fanno.
  Riguarda bene omai sì com io vado
  per questo loco al vero che disiri,
  sì che poi sappi sol tener lo guado.
  Lo moto e la virtù di santi giri,
  come dal fabbro larte del martello,
  da beati motor convien che spiri;
  e l ciel cui tanti lumi fanno bello,
  de la mente profonda che lui volve
  prende limage e fassene suggello.
  E come lalma dentro a vostra polve
  per differenti membra e conformate
  a diverse potenze si risolve,
  così lintelligenza sua bontate
  multiplicata per le stelle spiega,
  girando sé sovra sua unitate.
  Virtù diversa fa diversa lega
  col prezïoso corpo chella avviva,
  nel qual, sì come vita in voi, si lega.
  Per la natura lieta onde deriva,
  la virtù mista per lo corpo luce
  come letizia per pupilla viva.
  Da essa vien ciò che da luce a luce
  par differente, non da denso e raro;
  essa è formal principio che produce,
  conforme a sua bontà, lo turbo e l chiaro».
  Quel sol che pria damor mi scaldò l petto,
  di bella verità mavea scoverto,
  provando e riprovando, il dolce aspetto;
  e io, per confessar corretto e certo
  me stesso, tanto quanto si convenne
  leva il capo a proferer più erto;
  ma visïone apparve che ritenne
  a sé me tanto stretto, per vedersi,
  che di mia confession non mi sovvenne.
  Quali per vetri trasparenti e tersi,
  o ver per acque nitide e tranquille,
  non sì profonde che i fondi sien persi,
  tornan di nostri visi le postille
  debili sì, che perla in bianca fronte
  non vien men forte a le nostre pupille;
  tali vid io più facce a parlar pronte;
  per chio dentro a lerror contrario corsi
  a quel chaccese amor tra lomo e l fonte.
  Sùbito sì com io di lor maccorsi,
  quelle stimando specchiati sembianti,
  per veder di cui fosser, li occhi torsi;
  e nulla vidi, e ritorsili avanti
  dritti nel lume de la dolce guida,
  che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
  «Non ti maravigliar perch io sorrida»,
  mi disse, «appresso il tuo püeril coto,
  poi sopra l vero ancor lo piè non fida,
  ma te rivolve, come suole, a vòto:
  vere sustanze son ciò che tu vedi,
  qui rilegate per manco di voto.
  Però parla con esse e odi e credi;
  ché la verace luce che le appaga
  da sé non lascia lor torcer li piedi».
  E io a lombra che parea più vaga
  di ragionar, drizzami, e cominciai,
  quasi com uom cui troppa voglia smaga:
  «O ben creato spirito, che a rai
  di vita etterna la dolcezza senti
  che, non gustata, non sintende mai,
  grazïoso mi fia se mi contenti
  del nome tuo e de la vostra sorte».
  Ond ella, pronta e con occhi ridenti:
  «La nostra carità non serra porte
  a giusta voglia, se non come quella
  che vuol simile a sé tutta sua corte.
  I fui nel mondo vergine sorella;
  e se la mente tua ben sé riguarda,
  non mi ti celerà lesser più bella,
  ma riconoscerai chi son Piccarda,
  che, posta qui con questi altri beati,
  beata sono in la spera più tarda.
  Li nostri affetti, che solo infiammati
  son nel piacer de lo Spirito Santo,
  letizian del suo ordine formati.
  E questa sorte che par giù cotanto,
  però nè data, perché fuor negletti
  li nostri voti, e vòti in alcun canto».
  Ond io a lei: «Ne mirabili aspetti
  vostri risplende non so che divino
  che vi trasmuta da primi concetti:
  però non fui a rimembrar festino;
  ma or maiuta ciò che tu mi dici,
  sì che raffigurar mè più latino.
  Ma dimmi: voi che siete qui felici,
  disiderate voi più alto loco
  per più vedere e per più farvi amici?».
  Con quelle altr ombre pria sorrise un poco;
  da indi mi rispuose tanto lieta,
  charder parea damor nel primo foco:
  «Frate, la nostra volontà quïeta
  virtù di carità, che fa volerne
  sol quel chavemo, e daltro non ci asseta.
  Se disïassimo esser più superne,
  foran discordi li nostri disiri
  dal voler di colui che qui ne cerne;
  che vedrai non capere in questi giri,
  sessere in carità è qui necesse,
  e se la sua natura ben rimiri.
  Anzi è formale ad esto beato esse
  tenersi dentro a la divina voglia,
  per chuna fansi nostre voglie stesse;
  sì che, come noi sem di soglia in soglia
  per questo regno, a tutto il regno piace
  com a lo re che n suo voler ne nvoglia.
  E n la sua volontade è nostra pace:
  ell è quel mare al qual tutto si move
  ciò chella crïa o che natura face».
  Chiaro mi fu allor come ogne dove
  in cielo è paradiso, etsi la grazia
  del sommo ben dun modo non vi piove.
  Ma sì com elli avvien, sun cibo sazia
  e dun altro rimane ancor la gola,
  che quel si chere e di quel si ringrazia,
  così fec io con atto e con parola,
  per apprender da lei qual fu la tela
  onde non trasse infino a co la spuola.
  «Perfetta vita e alto merto inciela
  donna più sù», mi disse, «a la cui norma
  nel vostro mondo giù si veste e vela,
  perché fino al morir si vegghi e dorma
  con quello sposo chogne voto accetta
  che caritate a suo piacer conforma.
  Dal mondo, per seguirla, giovinetta
  fuggimi, e nel suo abito mi chiusi
  e promisi la via de la sua setta.
  Uomini poi, a mal più cha bene usi,
  fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
  Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
  E quest altro splendor che ti si mostra
  da la mia destra parte e che saccende
  di tutto il lume de la spera nostra,
  ciò chio dico di me, di sé intende;
  sorella fu, e così le fu tolta
  di capo lombra de le sacre bende.
  Ma poi che pur al mondo fu rivolta
  contra suo grado e contra buona usanza,
  non fu dal vel del cor già mai disciolta.
  Quest è la luce de la gran Costanza
  che del secondo vento di Soave
  generò l terzo e lultima possanza».
  Così parlommi, e poi cominciò Ave,
  Maria cantando, e cantando vanio
  come per acqua cupa cosa grave.
  La vista mia, che tanto lei seguio
  quanto possibil fu, poi che la perse,
  volsesi al segno di maggior disio,
  e a Beatrice tutta si converse;
  ma quella folgorò nel mïo sguardo
  sì che da prima il viso non sofferse;
  e ciò mi fece a dimandar più tardo.
  Intra due cibi, distanti e moventi
  dun modo, prima si morria di fame,
  che liber omo lun recasse ai denti;
  sì si starebbe un agno intra due brame
  di fieri lupi, igualmente temendo;
  sì si starebbe un cane intra due dame:
  per che, si mi tacea, me non riprendo,
  da li miei dubbi dun modo sospinto,
  poi chera necessario, né commendo.
  Io mi tacea, ma l mio disir dipinto
  mera nel viso, e l dimandar con ello,
  più caldo assai che per parlar distinto.
  Fé sì Beatrice qual fé Danïello,
  Nabuccodonosor levando dira,
  che lavea fatto ingiustamente fello;
  e disse: «Io veggio ben come ti tira
  uno e altro disio, sì che tua cura
  sé stessa lega sì che fuor non spira.
  Tu argomenti: Se l buon voler dura,
  la vïolenza altrui per qual ragione
  di meritar mi scema la misura?.
  Ancor di dubitar ti dà cagione
  parer tornarsi lanime a le stelle,
  secondo la sentenza di Platone.
  Queste son le question che nel tuo velle
  pontano igualmente; e però pria
  tratterò quella che più ha di felle.
  Di Serafin colui che più sindia,
  Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
  che prender vuoli, io dico, non Maria,
  non hanno in altro cielo i loro scanni
  che questi spirti che mo tappariro,
  né hanno a lesser lor più o meno anni;
  ma tutti fanno bello il primo giro,
  e differentemente han dolce vita
  per sentir più e men letterno spiro.
  Qui si mostraro, non perché sortita
  sia questa spera lor, ma per far segno
  de la celestïal cha men salita.
  Così parlar conviensi al vostro ingegno,
  però che solo da sensato apprende
  ciò che fa poscia dintelletto degno.
  Per questo la Scrittura condescende
  a vostra facultate, e piedi e mano
  attribuisce a Dio e altro intende;
  e Santa Chiesa con aspetto umano
  Gabrïel e Michel vi rappresenta,
  e laltro che Tobia rifece sano.
  Quel che Timeo de lanime argomenta
  non è simile a ciò che qui si vede,
  però che, come dice, par che senta.
  Dice che lalma a la sua stella riede,
  credendo quella quindi esser decisa
  quando natura per forma la diede;
  e forse sua sentenza è daltra guisa
  che la voce non suona, ed esser puote
  con intenzion da non esser derisa.
  Selli intende tornare a queste ruote
  lonor de la influenza e l biasmo, forse
  in alcun vero suo arco percuote.
  Questo principio, male inteso, torse
  già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
  Mercurio e Marte a nominar trascorse.
  Laltra dubitazion che ti commove
  ha men velen, però che sua malizia
  non ti poria menar da me altrove.
  Parere ingiusta la nostra giustizia
  ne li occhi di mortali, è argomento
  di fede e non deretica nequizia.
  Ma perché puote vostro accorgimento
  ben penetrare a questa veritate,
  come disiri, ti farò contento.
  Se vïolenza è quando quel che pate
  nïente conferisce a quel che sforza,
  non fuor quest alme per essa scusate:
  ché volontà, se non vuol, non sammorza,
  ma fa come natura face in foco,
  se mille volte vïolenza il torza.
  Per che, sella si piega assai o poco,
  segue la forza; e così queste fero
  possendo rifuggir nel santo loco.
  Se fosse stato lor volere intero,
  come tenne Lorenzo in su la grada,
  e fece Muzio a la sua man severo,
  così lavria ripinte per la strada
  ond eran tratte, come fuoro sciolte;
  ma così salda voglia è troppo rada.
  E per queste parole, se ricolte
  lhai come dei, è largomento casso
  che tavria fatto noia ancor più volte.
  Ma or ti sattraversa un altro passo
  dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
  non usciresti: pria saresti lasso.
  Io tho per certo ne la mente messo
  chalma beata non poria mentire,
  però chè sempre al primo vero appresso;
  e poi potesti da Piccarda udire
  che laffezion del vel Costanza tenne;
  sì chella par qui meco contradire.
  Molte fïate già, frate, addivenne
  che, per fuggir periglio, contra grato
  si fé di quel che far non si convenne;
  come Almeone, che, di ciò pregato
  dal padre suo, la propria madre spense,
  per non perder pietà si fé spietato.
  A questo punto voglio che tu pense
  che la forza al voler si mischia, e fanno
  sì che scusar non si posson loffense.
  Voglia assoluta non consente al danno;
  ma consentevi in tanto in quanto teme,
  se si ritrae, cadere in più affanno.
  Però, quando Piccarda quello spreme,
  de la voglia assoluta intende, e io
  de laltra; sì che ver diciamo insieme».
  Cotal fu londeggiar del santo rio
  chuscì del fonte ond ogne ver deriva;
  tal puose in pace uno e altro disio.
  «O amanza del primo amante, o diva»,
  diss io appresso, «il cui parlar minonda
  e scalda sì, che più e più mavviva,
  non è laffezion mia tanto profonda,
  che basti a render voi grazia per grazia;
  ma quei che vede e puote a ciò risponda.
  Io veggio ben che già mai non si sazia
  nostro intelletto, se l ver non lo illustra
  di fuor dal qual nessun vero si spazia.
  Posasi in esso, come fera in lustra,
  tosto che giunto lha; e giugner puollo:
  se non, ciascun disio sarebbe frustra.
  Nasce per quello, a guisa di rampollo,
  a piè del vero il dubbio; ed è natura
  chal sommo pinge noi di collo in collo.
  Questo minvita, questo massicura
  con reverenza, donna, a dimandarvi
  dunaltra verità che mè oscura.
  Io vo saper se luom può sodisfarvi
  ai voti manchi sì con altri beni,
  cha la vostra statera non sien parvi».
  Beatrice mi guardò con li occhi pieni
  di faville damor così divini,
  che, vinta, mia virtute diè le reni,
  e quasi mi perdei con li occhi chini.
  «Sio ti fiammeggio nel caldo damore
  di là dal modo che n terra si vede,
  sì che del viso tuo vinco il valore,
  non ti maravigliar, ché ciò procede
  da perfetto veder, che, come apprende,
  così nel bene appreso move il piede.
  Io veggio ben sì come già resplende
  ne lintelletto tuo letterna luce,
  che, vista, sola e sempre amore accende;
  e saltra cosa vostro amor seduce,
  non è se non di quella alcun vestigio,
  mal conosciuto, che quivi traluce.
  Tu vuo saper se con altro servigio,
  per manco voto, si può render tanto
  che lanima sicuri di letigio».
  Sì cominciò Beatrice questo canto;
  e sì com uom che suo parlar non spezza,
  continüò così l processo santo:
  «Lo maggior don che Dio per sua larghezza
  fesse creando, e a la sua bontate
  più conformato, e quel che più apprezza,
  fu de la volontà la libertate;
  di che le creature intelligenti,
  e tutte e sole, fuoro e son dotate.
  Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
  lalto valor del voto, sè sì fatto
  che Dio consenta quando tu consenti;
  ché, nel fermar tra Dio e lomo il patto,
  vittima fassi di questo tesoro,
  tal quale io dico; e fassi col suo atto.
  Dunque che render puossi per ristoro?
  Se credi bene usar quel chai offerto,
  di maltolletto vuo far buon lavoro.
  Tu se omai del maggior punto certo;
  ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
  che par contra lo ver chi tho scoverto,
  convienti ancor sedere un poco a mensa,
  però che l cibo rigido chai preso,
  richiede ancora aiuto a tua dispensa.
  Apri la mente a quel chio ti paleso
  e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
  sanza lo ritenere, avere inteso.
  Due cose si convegnono a lessenza
  di questo sacrificio: luna è quella
  di che si fa; laltr è la convenenza.
  Quest ultima già mai non si cancella
  se non servata; e intorno di lei
  sì preciso di sopra si favella:
  però necessitato fu a li Ebrei
  pur lofferere, ancor chalcuna offerta
  sì permutasse, come saver dei.
  Laltra, che per materia tè aperta,
  puote ben esser tal, che non si falla
  se con altra materia si converta.
  Ma non trasmuti carco a la sua spalla
  per suo arbitrio alcun, sanza la volta
  e de la chiave bianca e de la gialla;
  e ogne permutanza credi stolta,
  se la cosa dimessa in la sorpresa
  come l quattro nel sei non è raccolta.
  Però qualunque cosa tanto pesa
  per suo valor che tragga ogne bilancia,
  sodisfar non si può con altra spesa.
  Non prendan li mortali il voto a ciancia;
  siate fedeli, e a ciò far non bieci,
  come Ieptè a la sua prima mancia;
  cui più si convenia dicer Mal feci,
  che, servando, far peggio; e così stolto
  ritrovar puoi il gran duca de Greci,
  onde pianse Efigènia il suo bel volto,
  e fé pianger di sé i folli e i savi
  chudir parlar di così fatto cólto.
  Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
  non siate come penna ad ogne vento,
  e non crediate chogne acqua vi lavi.
  Avete il novo e l vecchio Testamento,
  e l pastor de la Chiesa che vi guida;
  questo vi basti a vostro salvamento.
  Se mala cupidigia altro vi grida,
  uomini siate, e non pecore matte,
  sì che l Giudeo di voi tra voi non rida!
  Non fate com agnel che lascia il latte
  de la sua madre, e semplice e lascivo
  seco medesmo a suo piacer combatte!».
  Così Beatrice a me com ïo scrivo;
  poi si rivolse tutta disïante
  a quella parte ove l mondo è più vivo.
  Lo suo tacere e l trasmutar sembiante
  puoser silenzio al mio cupido ingegno,
  che già nuove questioni avea davante;
  e sì come saetta che nel segno
  percuote pria che sia la corda queta,
  così corremmo nel secondo regno.
  Quivi la donna mia vid io sì lieta,
  come nel lume di quel ciel si mise,
  che più lucente se ne fé l pianeta.
  E se la stella si cambiò e rise,
  qual mi fec io che pur da mia natura
  trasmutabile son per tutte guise!
  Come n peschiera chè tranquilla e pura
  traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
  per modo che lo stimin lor pastura,
  sì vid io ben più di mille splendori
  trarsi ver noi, e in ciascun sudia:
  «Ecco chi crescerà li nostri amori».
  E sì come ciascuno a noi venìa,
  vedeasi lombra piena di letizia
  nel folgór chiaro che di lei uscia.
  Pensa, lettor, se quel che qui sinizia
  non procedesse, come tu avresti
  di più savere angosciosa carizia;
  e per te vederai come da questi
  mera in disio dudir lor condizioni,
  sì come a li occhi mi fur manifesti.
  «O bene nato a cui veder li troni
  del trïunfo etternal concede grazia
  prima che la milizia sabbandoni,
  del lume che per tutto il ciel si spazia
  noi semo accesi; e però, se disii
  di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
  Così da un di quelli spirti pii
  detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
  sicuramente, e credi come a dii».
  «Io veggio ben sì come tu tannidi
  nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
  perch e corusca sì come tu ridi;
  ma non so chi tu se, né perché aggi,
  anima degna, il grado de la spera
  che si vela a mortai con altrui raggi».
  Questo diss io diritto a la lumera
  che pria mavea parlato; ond ella fessi
  lucente più assai di quel chell era.
  Sì come il sol che si cela elli stessi
  per troppa luce, come l caldo ha róse
  le temperanze di vapori spessi,
  per più letizia sì mi si nascose
  dentro al suo raggio la figura santa;
  e così chiusa chiusa mi rispuose
  nel modo che l seguente canto canta.
  «Poscia che Costantin laquila volse
  contr al corso del ciel, chella seguio
  dietro a lantico che Lavina tolse,
  cento e cent anni e più luccel di Dio
  ne lo stremo dEuropa si ritenne,
  vicino a monti de quai prima uscìo;
  e sotto lombra de le sacre penne
  governò l mondo lì di mano in mano,
  e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
  Cesare fui e son Iustinïano,
  che, per voler del primo amor chi sento,
  dentro le leggi trassi il troppo e l vano.
  E prima chio a lovra fossi attento,
  una natura in Cristo esser, non piùe,
  credea, e di tal fede era contento;
  ma l benedetto Agapito, che fue
  sommo pastore, a la fede sincera
  mi dirizzò con le parole sue.
  Io li credetti; e ciò che n sua fede era,
  vegg io or chiaro sì, come tu vedi
  ogni contradizione e falsa e vera.
  Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
  a Dio per grazia piacque di spirarmi
  lalto lavoro, e tutto n lui mi diedi;
  e al mio Belisar commendai larmi,
  cui la destra del ciel fu sì congiunta,
  che segno fu chi dovessi posarmi.
  Or qui a la question prima sappunta
  la mia risposta; ma sua condizione
  mi stringe a seguitare alcuna giunta,
  perché tu veggi con quanta ragione
  si move contr al sacrosanto segno
  e chi l sappropria e chi a lui soppone.
  Vedi quanta virtù lha fatto degno
  di reverenza; e cominciò da lora
  che Pallante morì per darli regno.
  Tu sai chel fece in Alba sua dimora
  per trecento anni e oltre, infino al fine
  che i tre a tre pugnar per lui ancora.
  E sai chel fé dal mal de le Sabine
  al dolor di Lucrezia in sette regi,
  vincendo intorno le genti vicine.
  Sai quel chel fé portato da li egregi
  Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
  incontro a li altri principi e collegi;
  onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
  negletto fu nomato, i Deci e  Fabi
  ebber la fama che volontier mirro.
  Esso atterrò lorgoglio de li Aràbi
  che di retro ad Anibale passaro
  lalpestre rocce, Po, di che tu labi.
  Sott esso giovanetti trïunfaro
  Scipïone e Pompeo; e a quel colle
  sotto l qual tu nascesti parve amaro.
  Poi, presso al tempo che tutto l ciel volle
  redur lo mondo a suo modo sereno,
  Cesare per voler di Roma il tolle.
  E quel che fé da Varo infino a Reno,
  Isara vide ed Era e vide Senna
  e ogne valle onde Rodano è pieno.
  Quel che fé poi chelli uscì di Ravenna
  e saltò Rubicon, fu di tal volo,
  che nol seguiteria lingua né penna.
  Inver la Spagna rivolse lo stuolo,
  poi ver Durazzo, e Farsalia percosse
  sì chal Nil caldo si sentì del duolo.
  Antandro e Simeonta, onde si mosse,
  rivide e là dov Ettore si cuba;
  e mal per Tolomeo poscia si scosse.
  Da indi scese folgorando a Iuba;
  onde si volse nel vostro occidente,
  ove sentia la pompeana tuba.
  Di quel che fé col baiulo seguente,
  Bruto con Cassio ne linferno latra,
  e Modena e Perugia fu dolente.
  Piangene ancor la trista Cleopatra,
  che, fuggendoli innanzi, dal colubro
  la morte prese subitana e atra.
  Con costui corse infino al lito rubro;
  con costui puose il mondo in tanta pace,
  che fu serrato a Giano il suo delubro.
  Ma ciò che l segno che parlar mi face
  fatto avea prima e poi era fatturo
  per lo regno mortal cha lui soggiace,
  diventa in apparenza poco e scuro,
  se in mano al terzo Cesare si mira
  con occhio chiaro e con affetto puro;
  ché la viva giustizia che mi spira,
  li concedette, in mano a quel chi dico,
  gloria di far vendetta a la sua ira.
  Or qui tammira in ciò chio ti replìco:
  poscia con Tito a far vendetta corse
  de la vendetta del peccato antico.
  E quando il dente longobardo morse
  la Santa Chiesa, sotto le sue ali
  Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
  Omai puoi giudicar di quei cotali
  chio accusai di sopra e di lor falli,
  che son cagion di tutti vostri mali.
  Luno al pubblico segno i gigli gialli
  oppone, e laltro appropria quello a parte,
  sì chè forte a veder chi più si falli.
  Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
  sott altro segno, ché mal segue quello
  sempre chi la giustizia e lui diparte;
  e non labbatta esto Carlo novello
  coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
  cha più alto leon trasser lo vello.
  Molte fïate già pianser li figli
  per la colpa del padre, e non si creda
  che Dio trasmuti larmi per suoi gigli!
  Questa picciola stella si correda
  di buoni spirti che son stati attivi
  perché onore e fama li succeda:
  e quando li disiri poggian quivi,
  sì disvïando, pur convien che i raggi
  del vero amore in sù poggin men vivi.
  Ma nel commensurar di nostri gaggi
  col merto è parte di nostra letizia,
  perché non li vedem minor né maggi.
  Quindi addolcisce la viva giustizia
  in noi laffetto sì, che non si puote
  torcer già mai ad alcuna nequizia.
  Diverse voci fanno dolci note;
  così diversi scanni in nostra vita
  rendon dolce armonia tra queste rote.
  E dentro a la presente margarita
  luce la luce di Romeo, di cui
  fu lovra grande e bella mal gradita.
  Ma i Provenzai che fecer contra lui
  non hanno riso; e però mal cammina
  qual si fa danno del ben fare altrui.
  Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
  Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
  Romeo, persona umìle e peregrina.
  E poi il mosser le parole biece
  a dimandar ragione a questo giusto,
  che li assegnò sette e cinque per diece,
  indi partissi povero e vetusto;
  e se l mondo sapesse il cor chelli ebbe
  mendicando sua vita a frusto a frusto,
  assai lo loda, e più lo loderebbe».
  «Osanna, sanctus Deus sabaòth,
  superillustrans claritate tua
  felices ignes horum malacòth!».
  Così, volgendosi a la nota sua,
  fu viso a me cantare essa sustanza,
  sopra la qual doppio lume saddua;
  ed essa e laltre mossero a sua danza,
  e quasi velocissime faville
  mi si velar di sùbita distanza.
  Io dubitava e dicea Dille, dille!
  fra me, dille dicea, a la mia donna
  che mi diseta con le dolci stille.
  Ma quella reverenza che sindonna
  di tutto me, pur per Be e per ice,
  mi richinava come luom chassonna.
  Poco sofferse me cotal Beatrice
  e cominciò, raggiandomi dun riso
  tal, che nel foco faria luom felice:
  «Secondo mio infallibile avviso,
  come giusta vendetta giustamente
  punita fosse, tha in pensier miso;
  ma io ti solverò tosto la mente;
  e tu ascolta, ché le mie parole
  di gran sentenza ti faran presente.
  Per non soffrire a la virtù che vole
  freno a suo prode, quell uom che non nacque,
  dannando sé, dannò tutta sua prole;
  onde lumana specie inferma giacque
  giù per secoli molti in grande errore,
  fin chal Verbo di Dio discender piacque
  u la natura, che dal suo fattore
  sera allungata, unì a sé in persona
  con latto sol del suo etterno amore.
  Or drizza il viso a quel chor si ragiona:
  questa natura al suo fattore unita,
  qual fu creata, fu sincera e buona;
  ma per sé stessa pur fu ella sbandita
  di paradiso, però che si torse
  da via di verità e da sua vita.
  La pena dunque che la croce porse
  sa la natura assunta si misura,
  nulla già mai sì giustamente morse;
  e così nulla fu di tanta ingiura,
  guardando a la persona che sofferse,
  in che era contratta tal natura.
  Però dun atto uscir cose diverse:
  cha Dio e a Giudei piacque una morte;
  per lei tremò la terra e l ciel saperse.
  Non ti dee oramai parer più forte,
  quando si dice che giusta vendetta
  poscia vengiata fu da giusta corte.
  Ma io veggi or la tua mente ristretta
  di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
  del qual con gran disio solver saspetta.
  Tu dici: Ben discerno ciò chi odo;
  ma perché Dio volesse, mè occulto,
  a nostra redenzion pur questo modo.
  Questo decreto, frate, sta sepulto
  a li occhi di ciascuno il cui ingegno
  ne la fiamma damor non è adulto.
  Veramente, però cha questo segno
  molto si mira e poco si discerne,
  dirò perché tal modo fu più degno.
  La divina bontà, che da sé sperne
  ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
  sì che dispiega le bellezze etterne.
  Ciò che da lei sanza mezzo distilla
  non ha poi fine, perché non si move
  la sua imprenta quand ella sigilla.
  Ciò che da essa sanza mezzo piove
  libero è tutto, perché non soggiace
  a la virtute de le cose nove.
  Più lè conforme, e però più le piace;
  ché lardor santo chogne cosa raggia,
  ne la più somigliante è più vivace.
  Di tutte queste dote savvantaggia
  lumana creatura, e suna manca,
  di sua nobilità convien che caggia.
  Solo il peccato è quel che la disfranca
  e falla dissimìle al sommo bene,
  per che del lume suo poco simbianca;
  e in sua dignità mai non rivene,
  se non rïempie, dove colpa vòta,
  contra mal dilettar con giuste pene.
  Vostra natura, quando peccò tota
  nel seme suo, da queste dignitadi,
  come di paradiso, fu remota;
  né ricovrar potiensi, se tu badi
  ben sottilmente, per alcuna via,
  sanza passar per un di questi guadi:
  o che Dio solo per sua cortesia
  dimesso avesse, o che luom per sé isso
  avesse sodisfatto a sua follia.
  Ficca mo locchio per entro labisso
  de letterno consiglio, quanto puoi
  al mio parlar distrettamente fisso.
  Non potea luomo ne termini suoi
  mai sodisfar, per non potere ir giuso
  con umiltate obedïendo poi,
  quanto disobediendo intese ir suso;
  e questa è la cagion per che luom fue
  da poter sodisfar per sé dischiuso.
  Dunque a Dio convenia con le vie sue
  riparar lomo a sua intera vita,
  dico con luna, o ver con amendue.
  Ma perché lovra tanto è più gradita
  da loperante, quanto più appresenta
  de la bontà del core ond ell è uscita,
  la divina bontà che l mondo imprenta,
  di proceder per tutte le sue vie,
  a rilevarvi suso, fu contenta.
  Né tra lultima notte e l primo die
  sì alto o sì magnifico processo,
  o per luna o per laltra, fu o fie:
  ché più largo fu Dio a dar sé stesso
  per far luom sufficiente a rilevarsi,
  che selli avesse sol da sé dimesso;
  e tutti li altri modi erano scarsi
  a la giustizia, se l Figliuol di Dio
  non fosse umilïato ad incarnarsi.
  Or per empierti bene ogne disio,
  ritorno a dichiararti in alcun loco,
  perché tu veggi lì così com io.
  Tu dici: Io veggio lacqua, io veggio il foco,
  laere e la terra e tutte lor misture
  venire a corruzione, e durar poco;
  e queste cose pur furon creature;
  per che, se ciò chè detto è stato vero,
  esser dovrien da corruzion sicure.
  Li angeli, frate, e l paese sincero
  nel qual tu se, dir si posson creati,
  sì come sono, in loro essere intero;
  ma li alimenti che tu hai nomati
  e quelle cose che di lor si fanno
  da creata virtù sono informati.
  Creata fu la materia chelli hanno;
  creata fu la virtù informante
  in queste stelle che ntorno a lor vanno.
  Lanima dogne bruto e de le piante
  di complession potenzïata tira
  lo raggio e l moto de le luci sante;
  ma vostra vita sanza mezzo spira
  la somma beninanza, e la innamora
  di sé sì che poi sempre la disira.
  E quinci puoi argomentare ancora
  vostra resurrezion, se tu ripensi
  come lumana carne fessi allora
  che li primi parenti intrambo fensi».
  Solea creder lo mondo in suo periclo
  che la bella Ciprigna il folle amore
  raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
  per che non pur a lei faceano onore
  di sacrificio e di votivo grido
  le genti antiche ne lantico errore;
  ma Dïone onoravano e Cupido,
  quella per madre sua, questo per figlio,
  e dicean chel sedette in grembo a Dido;
  e da costei ond io principio piglio
  pigliavano il vocabol de la stella
  che l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
  Io non maccorsi del salire in ella;
  ma desservi entro mi fé assai fede
  la donna mia chi vidi far più bella.
  E come in fiamma favilla si vede,
  e come in voce voce si discerne,
  quand una è ferma e altra va e riede,
  vid io in essa luce altre lucerne
  muoversi in giro più e men correnti,
  al modo, credo, di lor viste interne.
  Di fredda nube non disceser venti,
  o visibili o no, tanto festini,
  che non paressero impediti e lenti
  a chi avesse quei lumi divini
  veduti a noi venir, lasciando il giro
  pria cominciato in li alti Serafini;
  e dentro a quei che più innanzi appariro
  sonava Osanna sì, che unque poi
  di rïudir non fui sanza disiro.
  Indi si fece lun più presso a noi
  e solo incominciò: «Tutti sem presti
  al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
  Noi ci volgiam coi principi celesti
  dun giro e dun girare e duna sete,
  ai quali tu del mondo già dicesti:
  Voi che ntendendo il terzo ciel movete;
  e sem sì pien damor, che, per piacerti,
  non fia men dolce un poco di quïete».
  Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
  a la mia donna reverenti, ed essa
  fatti li avea di sé contenti e certi,
  rivolsersi a la luce che promessa
  tanto savea, e «Deh, chi siete?» fue
  la voce mia di grande affetto impressa.
  E quanta e quale vid io lei far piùe
  per allegrezza nova che saccrebbe,
  quando parlai, a lallegrezze sue!
  Così fatta, mi disse: «Il mondo mebbe
  giù poco tempo; e se più fosse stato,
  molto sarà di mal, che non sarebbe.
  La mia letizia mi ti tien celato
  che mi raggia dintorno e mi nasconde
  quasi animal di sua seta fasciato.
  Assai mamasti, e avesti ben onde;
  che sio fossi giù stato, io ti mostrava
  di mio amor più oltre che le fronde.
  Quella sinistra riva che si lava
  di Rodano poi chè misto con Sorga,
  per suo segnore a tempo maspettava,
  e quel corno dAusonia che simborga
  di Bari e di Gaeta e di Catona,
  da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
  Fulgeami già in fronte la corona
  di quella terra che l Danubio riga
  poi che le ripe tedesche abbandona.
  E la bella Trinacria, che caliga
  tra Pachino e Peloro, sopra l golfo
  che riceve da Euro maggior briga,
  non per Tifeo ma per nascente solfo,
  attesi avrebbe li suoi regi ancora,
  nati per me di Carlo e di Ridolfo,
  se mala segnoria, che sempre accora
  li popoli suggetti, non avesse
  mosso Palermo a gridar: Mora, mora!.
  E se mio frate questo antivedesse,
  lavara povertà di Catalogna
  già fuggeria, perché non li offendesse;
  ché veramente proveder bisogna
  per lui, o per altrui, sì cha sua barca
  carcata più dincarco non si pogna.
  La sua natura, che di larga parca
  discese, avria mestier di tal milizia
  che non curasse di mettere in arca».
  «Però chi credo che lalta letizia
  che l tuo parlar minfonde, segnor mio,
  là ve ogne ben si termina e sinizia,
  per te si veggia come la vegg io,
  grata mè più; e anco quest ho caro
  perché l discerni rimirando in Dio.
  Fatto mhai lieto, e così mi fa chiaro,
  poi che, parlando, a dubitar mhai mosso
  com esser può, di dolce seme, amaro».
  Questo io a lui; ed elli a me: «Sio posso
  mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
  terrai lo viso come tien lo dosso.
  Lo ben che tutto il regno che tu scandi
  volge e contenta, fa esser virtute
  sua provedenza in questi corpi grandi.
  E non pur le nature provedute
  sono in la mente chè da sé perfetta,
  ma esse insieme con la lor salute:
  per che quantunque quest arco saetta
  disposto cade a proveduto fine,
  sì come cosa in suo segno diretta.
  Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
  producerebbe sì li suoi effetti,
  che non sarebbero arti, ma ruine;
  e ciò esser non può, se li ntelletti
  che muovon queste stelle non son manchi,
  e manco il primo, che non li ha perfetti.
  Vuo tu che questo ver più ti simbianchi?».
  E io: «Non già; ché impossibil veggio
  che la natura, in quel chè uopo, stanchi».
  Ond elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
  per lomo in terra, se non fosse cive?».
  «Sì», rispuos io; «e qui ragion non cheggio».
  «E puot elli esser, se giù non si vive
  diversamente per diversi offici?
  Non, se l maestro vostro ben vi scrive».
  Sì venne deducendo infino a quici;
  poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
  convien di vostri effetti le radici:
  per chun nasce Solone e altro Serse,
  altro Melchisedèch e altro quello
  che, volando per laere, il figlio perse.
  La circular natura, chè suggello
  a la cera mortal, fa ben sua arte,
  ma non distingue lun da laltro ostello.
  Quinci addivien chEsaù si diparte
  per seme da Iacòb; e vien Quirino
  da sì vil padre, che si rende a Marte.
  Natura generata il suo cammino
  simil farebbe sempre a generanti,
  se non vincesse il proveder divino.
  Or quel che tera dietro tè davanti:
  ma perché sappi che di te mi giova,
  un corollario voglio che tammanti.
  Sempre natura, se fortuna trova
  discorde a sé, com ogne altra semente
  fuor di sua regïon, fa mala prova.
  E se l mondo là giù ponesse mente
  al fondamento che natura pone,
  seguendo lui, avria buona la gente.
  Ma voi torcete a la religïone
  tal che fia nato a cignersi la spada,
  e fate re di tal chè da sermone;
  onde la traccia vostra è fuor di strada».
  Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
  mebbe chiarito, mi narrò li nganni
  che ricever dovea la sua semenza;
  ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
  sì chio non posso dir se non che pianto
  giusto verrà di retro ai vostri danni.
  E già la vita di quel lume santo
  rivolta sera al Sol che la rïempie
  come quel ben cha ogne cosa è tanto.
  Ahi anime ingannate e fatture empie,
  che da sì fatto ben torcete i cuori,
  drizzando in vanità le vostre tempie!
  Ed ecco un altro di quelli splendori
  ver me si fece, e l suo voler piacermi
  significava nel chiarir di fori.
  Li occhi di Bëatrice, cheran fermi
  sovra me, come pria, di caro assenso
  al mio disio certificato fermi.
  «Deh, metti al mio voler tosto compenso,
  beato spirto», dissi, «e fammi prova
  chi possa in te refletter quel chio penso!».
  Onde la luce che mera ancor nova,
  del suo profondo, ond ella pria cantava,
  seguette come a cui di ben far giova:
  «In quella parte de la terra prava
  italica che siede tra Rïalto
  e le fontane di Brenta e di Piava,
  si leva un colle, e non surge molt alto,
  là onde scese già una facella
  che fece a la contrada un grande assalto.
  Duna radice nacqui e io ed ella:
  Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
  perché mi vinse il lume desta stella;
  ma lietamente a me medesma indulgo
  la cagion di mia sorte, e non mi noia;
  che parria forse forte al vostro vulgo.
  Di questa luculenta e cara gioia
  del nostro cielo che più mè propinqua,
  grande fama rimase; e pria che moia,
  questo centesimo anno ancor sincinqua:
  vedi se far si dee lomo eccellente,
  sì chaltra vita la prima relinqua.
  E ciò non pensa la turba presente
  che Tagliamento e Adice richiude,
  né per esser battuta ancor si pente;
  ma tosto fia che Padova al palude
  cangerà lacqua che Vincenza bagna,
  per essere al dover le genti crude;
  e dove Sile e Cagnan saccompagna,
  tal signoreggia e va con la testa alta,
  che già per lui carpir si fa la ragna.
  Piangerà Feltro ancora la difalta
  de lempio suo pastor, che sarà sconcia
  sì, che per simil non sentrò in malta.
  Troppo sarebbe larga la bigoncia
  che ricevesse il sangue ferrarese,
  e stanco chi l pesasse a oncia a oncia,
  che donerà questo prete cortese
  per mostrarsi di parte; e cotai doni
  conformi fieno al viver del paese.
  Sù sono specchi, voi dicete Troni,
  onde refulge a noi Dio giudicante;
  sì che questi parlar ne paion buoni».
  Qui si tacette; e fecemi sembiante
  che fosse ad altro volta, per la rota
  in che si mise com era davante.
  Laltra letizia, che mera già nota
  per cara cosa, mi si fece in vista
  qual fin balasso in che lo sol percuota.
  Per letiziar là sù fulgor sacquista,
  sì come riso qui; ma giù sabbuia
  lombra di fuor, come la mente è trista.
  «Dio vede tutto, e tuo veder sinluia»,
  diss io, «beato spirto, sì che nulla
  voglia di sé a te puot esser fuia.
  Dunque la voce tua, che l ciel trastulla
  sempre col canto di quei fuochi pii
  che di sei ali facen la coculla,
  perché non satisface a miei disii?
  Già non attendere io tua dimanda,
  sio mintuassi, come tu tinmii».
  «La maggior valle in che lacqua si spanda»,
  incominciaro allor le sue parole,
  «fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
  tra  discordanti liti contra l sole
  tanto sen va, che fa meridïano
  là dove lorizzonte pria far suole.
  Di quella valle fu io litorano
  tra Ebro e Macra, che per cammin corto
  parte lo Genovese dal Toscano.
  Ad un occaso quasi e ad un orto
  Buggea siede e la terra ond io fui,
  che fé del sangue suo già caldo il porto.
  Folco mi disse quella gente a cui
  fu noto il nome mio; e questo cielo
  di me simprenta, com io fe di lui;
  ché più non arse la figlia di Belo,
  noiando e a Sicheo e a Creusa,
  di me, infin che si convenne al pelo;
  né quella Rodopëa che delusa
  fu da Demofoonte, né Alcide
  quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
  Non però qui si pente, ma si ride,
  non de la colpa, cha mente non torna,
  ma del valor chordinò e provide.
  Qui si rimira ne larte chaddorna
  cotanto affetto, e discernesi l bene
  per che l mondo di sù quel di giù torna.
  Ma perché tutte le tue voglie piene
  ten porti che son nate in questa spera,
  proceder ancor oltre mi convene.
  Tu vuo saper chi è in questa lumera
  che qui appresso me così scintilla
  come raggio di sole in acqua mera.
  Or sappi che là entro si tranquilla
  Raab; e a nostr ordine congiunta,
  di lei nel sommo grado si sigilla.
  Da questo cielo, in cui lombra sappunta
  che l vostro mondo face, pria chaltr alma
  del trïunfo di Cristo fu assunta.
  Ben si convenne lei lasciar per palma
  in alcun cielo de lalta vittoria
  che sacquistò con luna e laltra palma,
  perch ella favorò la prima gloria
  di Iosüè in su la Terra Santa,
  che poco tocca al papa la memoria.
  La tua città, che di colui è pianta
  che pria volse le spalle al suo fattore
  e di cui è la nvidia tanto pianta,
  produce e spande il maladetto fiore
  cha disvïate le pecore e li agni,
  però che fatto ha lupo del pastore.
  Per questo lEvangelio e i dottor magni
  son derelitti, e solo ai Decretali
  si studia, sì che pare a lor vivagni.
  A questo intende il papa e  cardinali;
  non vanno i lor pensieri a Nazarette,
  là dove Gabrïello aperse lali.
  Ma Vaticano e laltre parti elette
  di Roma che son state cimitero
  a la milizia che Pietro seguette,
  tosto libere fien de lavoltero».
  Guardando nel suo Figlio con lAmore
  che luno e laltro etternalmente spira,
  lo primo e ineffabile Valore
  quanto per mente e per loco si gira
  con tant ordine fé, chesser non puote
  sanza gustar di lui chi ciò rimira.
  Leva dunque, lettore, a lalte rote
  meco la vista, dritto a quella parte
  dove lun moto e laltro si percuote;
  e lì comincia a vagheggiar ne larte
  di quel maestro che dentro a sé lama,
  tanto che mai da lei locchio non parte.
  Vedi come da indi si dirama
  loblico cerchio che i pianeti porta,
  per sodisfare al mondo che li chiama.
  Che se la strada lor non fosse torta,
  molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
  e quasi ogne potenza qua giù morta;
  e se dal dritto più o men lontano
  fosse l partire, assai sarebbe manco
  e giù e sù de lordine mondano.
  Or ti riman, lettor, sovra l tuo banco,
  dietro pensando a ciò che si preliba,
  sesser vuoi lieto assai prima che stanco.
  Messo tho innanzi: omai per te ti ciba;
  ché a sé torce tutta la mia cura
  quella materia ond io son fatto scriba.
  Lo ministro maggior de la natura,
  che del valor del ciel lo mondo imprenta
  e col suo lume il tempo ne misura,
  con quella parte che sù si rammenta
  congiunto, si girava per le spire
  in che più tosto ognora sappresenta;
  e io era con lui; ma del salire
  non maccors io, se non com uom saccorge,
  anzi l primo pensier, del suo venire.
  È Bëatrice quella che sì scorge
  di bene in meglio, sì subitamente
  che latto suo per tempo non si sporge.
  Quant esser convenia da sé lucente
  quel chera dentro al sol dov io entrami,
  non per color, ma per lume parvente!
  Perch io lo ngegno e larte e luso chiami,
  sì nol direi che mai simaginasse;
  ma creder puossi e di veder si brami.
  E se le fantasie nostre son basse
  a tanta altezza, non è maraviglia;
  ché sopra l sol non fu occhio chandasse.
  Tal era quivi la quarta famiglia
  de lalto Padre, che sempre la sazia,
  mostrando come spira e come figlia.
  E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
  ringrazia il Sol de li angeli, cha questo
  sensibil tha levato per sua grazia».
  Cor di mortal non fu mai sì digesto
  a divozione e a rendersi a Dio
  con tutto l suo gradir cotanto presto,
  come a quelle parole mi fec io;
  e sì tutto l mio amore in lui si mise,
  che Bëatrice eclissò ne loblio.
  Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
  che lo splendor de li occhi suoi ridenti
  mia mente unita in più cose divise.
  Io vidi più folgór vivi e vincenti
  far di noi centro e di sé far corona,
  più dolci in voce che in vista lucenti:
  così cinger la figlia di Latona
  vedem talvolta, quando laere è pregno,
  sì che ritenga il fil che fa la zona.
  Ne la corte del cielo, ond io rivegno,
  si trovan molte gioie care e belle
  tanto che non si posson trar del regno;
  e l canto di quei lumi era di quelle;
  chi non simpenna sì che là sù voli,
  dal muto aspetti quindi le novelle.
  Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
  si fuor girati intorno a noi tre volte,
  come stelle vicine a fermi poli,
  donne mi parver, non da ballo sciolte,
  ma che sarrestin tacite, ascoltando
  fin che le nove note hanno ricolte.
  E dentro a lun senti cominciar: «Quando
  lo raggio de la grazia, onde saccende
  verace amore e che poi cresce amando,
  multiplicato in te tanto resplende,
  che ti conduce su per quella scala
  u sanza risalir nessun discende;
  qual ti negasse il vin de la sua fiala
  per la tua sete, in libertà non fora
  se non com acqua chal mar non si cala.
  Tu vuo saper di quai piante sinfiora
  questa ghirlanda che ntorno vagheggia
  la bella donna chal ciel tavvalora.
  Io fui de li agni de la santa greggia
  che Domenico mena per cammino
  u ben simpingua se non si vaneggia.
  Questi che mè a destra più vicino,
  frate e maestro fummi, ed esso Alberto
  è di Cologna, e io Thomas dAquino.
  Se sì di tutti li altri esser vuo certo,
  di retro al mio parlar ten vien col viso
  girando su per lo beato serto.
  Quell altro fiammeggiare esce del riso
  di Grazïan, che luno e laltro foro
  aiutò sì che piace in paradiso.
  Laltro chappresso addorna il nostro coro,
  quel Pietro fu che con la poverella
  offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
  La quinta luce, chè tra noi più bella,
  spira di tale amor, che tutto l mondo
  là giù ne gola di saper novella:
  entro vè lalta mente u sì profondo
  saver fu messo, che, se l vero è vero,
  a veder tanto non surse il secondo.
  Appresso vedi il lume di quel cero
  che giù in carne più a dentro vide
  langelica natura e l ministero.
  Ne laltra piccioletta luce ride
  quello avvocato de tempi cristiani
  del cui latino Augustin si provide.
  Or se tu locchio de la mente trani
  di luce in luce dietro a le mie lode,
  già de lottava con sete rimani.
  Per vedere ogne ben dentro vi gode
  lanima santa che l mondo fallace
  fa manifesto a chi di lei ben ode.
  Lo corpo ond ella fu cacciata giace
  giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
  e da essilio venne a questa pace.
  Vedi oltre fiammeggiar lardente spiro
  dIsidoro, di Beda e di Riccardo,
  che a considerar fu più che viro.
  Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
  è l lume duno spirto che n pensieri
  gravi a morir li parve venir tardo:
  essa è la luce etterna di Sigieri,
  che, leggendo nel Vico de li Strami,
  silogizzò invidïosi veri».
  Indi, come orologio che ne chiami
  ne lora che la sposa di Dio surge
  a mattinar lo sposo perché lami,
  che luna parte e laltra tira e urge,
  tin tin sonando con sì dolce nota,
  che l ben disposto spirto damor turge;
  così vid ïo la gloriosa rota
  muoversi e render voce a voce in tempra
  e in dolcezza chesser non pò nota
  se non colà dove gioir sinsempra.
  O insensata cura de mortali,
  quanto son difettivi silogismi
  quei che ti fanno in basso batter lali!
  Chi dietro a iura e chi ad amforismi
  sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
  e chi regnar per forza o per sofismi,
  e chi rubare e chi civil negozio,
  chi nel diletto de la carne involto
  saffaticava e chi si dava a lozio,
  quando, da tutte queste cose sciolto,
  con Bëatrice mera suso in cielo
  cotanto glorïosamente accolto.
  Poi che ciascuno fu tornato ne lo
  punto del cerchio in che avanti sera,
  fermossi, come a candellier candelo.
  E io senti dentro a quella lumera
  che pria mavea parlato, sorridendo
  incominciar, faccendosi più mera:
  «Così com io del suo raggio resplendo,
  sì, riguardando ne la luce etterna,
  li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
  Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
  in sì aperta e n sì distesa lingua
  lo dicer mio, chal tuo sentir si sterna,
  ove dinanzi dissi: U ben simpingua,
  e là u dissi: Non nacque il secondo;
  e qui è uopo che ben si distingua.
  La provedenza, che governa il mondo
  con quel consiglio nel quale ogne aspetto
  creato è vinto pria che vada al fondo,
  però che andasse ver lo suo diletto
  la sposa di colui chad alte grida
  disposò lei col sangue benedetto,
  in sé sicura e anche a lui più fida,
  due principi ordinò in suo favore,
  che quinci e quindi le fosser per guida.
  Lun fu tutto serafico in ardore;
  laltro per sapïenza in terra fue
  di cherubica luce uno splendore.
  De lun dirò, però che damendue
  si dice lun pregiando, qual chom prende,
  perch ad un fine fur lopere sue.
  Intra Tupino e lacqua che discende
  del colle eletto dal beato Ubaldo,
  fertile costa dalto monte pende,
  onde Perugia sente freddo e caldo
  da Porta Sole; e di rietro le piange
  per grave giogo Nocera con Gualdo.
  Di questa costa, là dov ella frange
  più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
  come fa questo talvolta di Gange.
  Però chi desso loco fa parole,
  non dica Ascesi, ché direbbe corto,
  ma Orïente, se proprio dir vuole.
  Non era ancor molto lontan da lorto,
  chel cominciò a far sentir la terra
  de la sua gran virtute alcun conforto;
  ché per tal donna, giovinetto, in guerra
  del padre corse, a cui, come a la morte,
  la porta del piacer nessun diserra;
  e dinanzi a la sua spirital corte
  et coram patre le si fece unito;
  poscia di dì in dì lamò più forte.
  Questa, privata del primo marito,
  millecent anni e più dispetta e scura
  fino a costui si stette sanza invito;
  né valse udir che la trovò sicura
  con Amiclate, al suon de la sua voce,
  colui cha tutto l mondo fé paura;
  né valse esser costante né feroce,
  sì che, dove Maria rimase giuso,
  ella con Cristo pianse in su la croce.
  Ma perch io non proceda troppo chiuso,
  Francesco e Povertà per questi amanti
  prendi oramai nel mio parlar diffuso.
  La lor concordia e i lor lieti sembianti,
  amore e maraviglia e dolce sguardo
  facieno esser cagion di pensier santi;
  tanto che l venerabile Bernardo
  si scalzò prima, e dietro a tanta pace
  corse e, correndo, li parve esser tardo.
  Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
  Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
  dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
  Indi sen va quel padre e quel maestro
  con la sua donna e con quella famiglia
  che già legava lumile capestro.
  Né li gravò viltà di cuor le ciglia
  per esser fi di Pietro Bernardone,
  né per parer dispetto a maraviglia;
  ma regalmente sua dura intenzione
  ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
  primo sigillo a sua religïone.
  Poi che la gente poverella crebbe
  dietro a costui, la cui mirabil vita
  meglio in gloria del ciel si canterebbe,
  di seconda corona redimita
  fu per Onorio da lEtterno Spiro
  la santa voglia desto archimandrita.
  E poi che, per la sete del martiro,
  ne la presenza del Soldan superba
  predicò Cristo e li altri che l seguiro,
  e per trovare a conversione acerba
  troppo la gente e per non stare indarno,
  redissi al frutto de litalica erba,
  nel crudo sasso intra Tevero e Arno
  da Cristo prese lultimo sigillo,
  che le sue membra due anni portarno.
  Quando a colui cha tanto ben sortillo
  piacque di trarlo suso a la mercede
  chel meritò nel suo farsi pusillo,
  a frati suoi, sì com a giuste rede,
  raccomandò la donna sua più cara,
  e comandò che lamassero a fede;
  e del suo grembo lanima preclara
  mover si volle, tornando al suo regno,
  e al suo corpo non volle altra bara.
  Pensa oramai qual fu colui che degno
  collega fu a mantener la barca
  di Pietro in alto mar per dritto segno;
  e questo fu il nostro patrïarca;
  per che qual segue lui, com el comanda,
  discerner puoi che buone merce carca.
  Ma l suo pecuglio di nova vivanda
  è fatto ghiotto, sì chesser non puote
  che per diversi salti non si spanda;
  e quanto le sue pecore remote
  e vagabunde più da esso vanno,
  più tornano a lovil di latte vòte.
  Ben son di quelle che temono l danno
  e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
  che le cappe fornisce poco panno.
  Or, se le mie parole non son fioche,
  se la tua audïenza è stata attenta,
  se ciò chè detto a la mente revoche,
  in parte fia la tua voglia contenta,
  perché vedrai la pianta onde si scheggia,
  e vedra il corrègger che argomenta
  U ben simpingua, se non si vaneggia».
  Sì tosto come lultima parola
  la benedetta fiamma per dir tolse,
  a rotar cominciò la santa mola;
  e nel suo giro tutta non si volse
  prima chunaltra di cerchio la chiuse,
  e moto a moto e canto a canto colse;
  canto che tanto vince nostre muse,
  nostre serene in quelle dolci tube,
  quanto primo splendor quel che refuse.
  Come si volgon per tenera nube
  due archi paralelli e concolori,
  quando Iunone a sua ancella iube,
  nascendo di quel dentro quel di fori,
  a guisa del parlar di quella vaga
  chamor consunse come sol vapori,
  e fanno qui la gente esser presaga,
  per lo patto che Dio con Noè puose,
  del mondo che già mai più non sallaga:
  così di quelle sempiterne rose
  volgiensi circa noi le due ghirlande,
  e sì lestrema a lintima rispuose.
  Poi che l tripudio e laltra festa grande,
  sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
  luce con luce gaudïose e blande,
  insieme a punto e a voler quetarsi,
  pur come li occhi chal piacer che i move
  conviene insieme chiudere e levarsi;
  del cor de luna de le luci nove
  si mosse voce, che lago a la stella
  parer mi fece in volgermi al suo dove;
  e cominciò: «Lamor che mi fa bella
  mi tragge a ragionar de laltro duca
  per cui del mio sì ben ci si favella.
  Degno è che, dov è lun, laltro sinduca:
  sì che, com elli ad una militaro,
  così la gloria loro insieme luca.
  Lessercito di Cristo, che sì caro
  costò a rïarmar, dietro a la nsegna
  si movea tardo, sospeccioso e raro,
  quando lo mperador che sempre regna
  provide a la milizia, chera in forse,
  per sola grazia, non per esser degna;
  e, come è detto, a sua sposa soccorse
  con due campioni, al cui fare, al cui dire
  lo popol disvïato si raccorse.
  In quella parte ove surge ad aprire
  Zefiro dolce le novelle fronde
  di che si vede Europa rivestire,
  non molto lungi al percuoter de londe
  dietro a le quali, per la lunga foga,
  lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
  siede la fortunata Calaroga
  sotto la protezion del grande scudo
  in che soggiace il leone e soggioga:
  dentro vi nacque lamoroso drudo
  de la fede cristiana, il santo atleta
  benigno a suoi e a nemici crudo;
  e come fu creata, fu repleta
  sì la sua mente di viva vertute
  che, ne la madre, lei fece profeta.
  Poi che le sponsalizie fuor compiute
  al sacro fonte intra lui e la Fede,
  u si dotar di mutüa salute,
  la donna che per lui lassenso diede,
  vide nel sonno il mirabile frutto
  chuscir dovea di lui e de le rede;
  e perché fosse qual era in costrutto,
  quinci si mosse spirito a nomarlo
  del possessivo di cui era tutto.
  Domenico fu detto; e io ne parlo
  sì come de lagricola che Cristo
  elesse a lorto suo per aiutarlo.
  Ben parve messo e famigliar di Cristo:
  che l primo amor che n lui fu manifesto,
  fu al primo consiglio che diè Cristo.
  Spesse fïate fu tacito e desto
  trovato in terra da la sua nutrice,
  come dicesse: Io son venuto a questo.
  Oh padre suo veramente Felice!
  oh madre sua veramente Giovanna,
  se, interpretata, val come si dice!
  Non per lo mondo, per cui mo saffanna
  di retro ad Ostïense e a Taddeo,
  ma per amor de la verace manna
  in picciol tempo gran dottor si feo;
  tal che si mise a circüir la vigna
  che tosto imbianca, se l vignaio è reo.
  E a la sedia che fu già benigna
  più a poveri giusti, non per lei,
  ma per colui che siede, che traligna,
  non dispensare o due o tre per sei,
  non la fortuna di prima vacante,
  non decimas, quae sunt pauperum Dei,
  addimandò, ma contro al mondo errante
  licenza di combatter per lo seme
  del qual ti fascian ventiquattro piante.
  Poi, con dottrina e con volere insieme,
  con lofficio appostolico si mosse
  quasi torrente chalta vena preme;
  e ne li sterpi eretici percosse
  limpeto suo, più vivamente quivi
  dove le resistenze eran più grosse.
  Di lui si fecer poi diversi rivi
  onde lorto catolico si riga,
  sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
  Se tal fu luna rota de la biga
  in che la Santa Chiesa si difese
  e vinse in campo la sua civil briga,
  ben ti dovrebbe assai esser palese
  leccellenza de laltra, di cui Tomma
  dinanzi al mio venir fu sì cortese.
  Ma lorbita che fé la parte somma
  di sua circunferenza, è derelitta,
  sì chè la muffa dov era la gromma.
  La sua famiglia, che si mosse dritta
  coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
  che quel dinanzi a quel di retro gitta;
  e tosto si vedrà de la ricolta
  de la mala coltura, quando il loglio
  si lagnerà che larca li sia tolta.
  Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
  nostro volume, ancor troveria carta
  u leggerebbe I mi son quel chi soglio;
  ma non fia da Casal né dAcquasparta,
  là onde vegnon tali a la scrittura,
  chuno la fugge e altro la coarta.
  Io son la vita di Bonaventura
  da Bagnoregio, che ne grandi offici
  sempre pospuosi la sinistra cura.
  Illuminato e Augustin son quici,
  che fuor de primi scalzi poverelli
  che nel capestro a Dio si fero amici.
  Ugo da San Vittore è qui con elli,
  e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
  lo qual giù luce in dodici libelli;
  Natàn profeta e l metropolitano
  Crisostomo e Anselmo e quel Donato
  cha la prim arte degnò porre mano.
  Rabano è qui, e lucemi dallato
  il calavrese abate Giovacchino
  di spirito profetico dotato.
  Ad inveggiar cotanto paladino
  mi mosse linfiammata cortesia
  di fra Tommaso e l discreto latino;
  e mosse meco questa compagnia».
  Imagini, chi bene intender cupe
  quel chi or vidie ritegna limage,
  mentre chio dico, come ferma rupe,
  quindici stelle che n diverse plage
  lo ciel avvivan di tanto sereno
  che soperchia de laere ogne compage;
  imagini quel carro a cu il seno
  basta del nostro cielo e notte e giorno,
  sì chal volger del temo non vien meno;
  imagini la bocca di quel corno
  che si comincia in punta de lo stelo
  a cui la prima rota va dintorno,
  aver fatto di sé due segni in cielo,
  qual fece la figliuola di Minoi
  allora che sentì di morte il gelo;
  e lun ne laltro aver li raggi suoi,
  e amendue girarsi per maniera
  che luno andasse al primo e laltro al poi;
  e avrà quasi lombra de la vera
  costellazione e de la doppia danza
  che circulava il punto dov io era:
  poi chè tanto di là da nostra usanza,
  quanto di là dal mover de la Chiana
  si move il ciel che tutti li altri avanza.
  Lì si cantò non Bacco, non Peana,
  ma tre persone in divina natura,
  e in una persona essa e lumana.
  Compié l cantare e l volger sua misura;
  e attesersi a noi quei santi lumi,
  felicitando sé di cura in cura.
  Ruppe il silenzio ne concordi numi
  poscia la luce in che mirabil vita
  del poverel di Dio narrata fumi,
  e disse: «Quando luna paglia è trita,
  quando la sua semenza è già riposta,
  a batter laltra dolce amor minvita.
  Tu credi che nel petto onde la costa
  si trasse per formar la bella guancia
  il cui palato a tutto l mondo costa,
  e in quel che, forato da la lancia,
  e prima e poscia tanto sodisfece,
  che dogne colpa vince la bilancia,
  quantunque a la natura umana lece
  aver di lume, tutto fosse infuso
  da quel valor che luno e laltro fece;
  e però miri a ciò chio dissi suso,
  quando narrai che non ebbe l secondo
  lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
  Or apri li occhi a quel chio ti rispondo,
  e vedräi il tuo credere e l mio dire
  nel vero farsi come centro in tondo.
  Ciò che non more e ciò che può morire
  non è se non splendor di quella idea
  che partorisce, amando, il nostro Sire;
  ché quella viva luce che sì mea
  dal suo lucente, che non si disuna
  da lui né da lamor cha lor sintrea,
  per sua bontate il suo raggiare aduna,
  quasi specchiato, in nove sussistenze,
  etternalmente rimanendosi una.
  Quindi discende a lultime potenze
  giù datto in atto, tanto divenendo,
  che più non fa che brevi contingenze;
  e queste contingenze essere intendo
  le cose generate, che produce
  con seme e sanza seme il ciel movendo.
  La cera di costoro e chi la duce
  non sta dun modo; e però sotto l segno
  idëale poi più e men traluce.
  Ond elli avvien chun medesimo legno,
  secondo specie, meglio e peggio frutta;
  e voi nascete con diverso ingegno.
  Se fosse a punto la cera dedutta
  e fosse il cielo in sua virtù supprema,
  la luce del suggel parrebbe tutta;
  ma la natura la dà sempre scema,
  similemente operando a lartista
  cha labito de larte ha man che trema.
  Però se l caldo amor la chiara vista
  de la prima virtù dispone e segna,
  tutta la perfezion quivi sacquista.
  Così fu fatta già la terra degna
  di tutta lanimal perfezïone;
  così fu fatta la Vergine pregna;
  sì chio commendo tua oppinïone,
  che lumana natura mai non fue
  né fia qual fu in quelle due persone.
  Or si non procedesse avanti piùe,
  Dunque, come costui fu sanza pare?
  comincerebber le parole tue.
  Ma perché paia ben ciò che non pare,
  pensa chi era, e la cagion che l mosse,
  quando fu detto Chiedi, a dimandare.
  Non ho parlato sì, che tu non posse
  ben veder chel fu re, che chiese senno
  acciò che re sufficïente fosse;
  non per sapere il numero in che enno
  li motor di qua sù, o se necesse
  con contingente mai necesse fenno;
  non si est dare primum motum esse,
  o se del mezzo cerchio far si puote
  trïangol sì chun retto non avesse.
  Onde, se ciò chio dissi e questo note,
  regal prudenza è quel vedere impari
  in che lo stral di mia intenzion percuote;
  e se al surse drizzi li occhi chiari,
  vedrai aver solamente respetto
  ai regi, che son molti, e  buon son rari.
  Con questa distinzion prendi l mio detto;
  e così puote star con quel che credi
  del primo padre e del nostro Diletto.
  E questo ti sia sempre piombo a piedi,
  per farti mover lento com uom lasso
  e al sì e al no che tu non vedi:
  ché quelli è tra li stolti bene a basso,
  che sanza distinzione afferma e nega
  ne lun così come ne laltro passo;
  perch elli ncontra che più volte piega
  loppinïon corrente in falsa parte,
  e poi laffetto lintelletto lega.
  Vie più che ndarno da riva si parte,
  perché non torna tal qual e si move,
  chi pesca per lo vero e non ha larte.
  E di ciò sono al mondo aperte prove
  Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
  li quali andaro e non sapëan dove;
  sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
  che furon come spade a le Scritture
  in render torti li diritti volti.
  Non sien le genti, ancor, troppo sicure
  a giudicar, sì come quei che stima
  le biade in campo pria che sien mature;
  chi ho veduto tutto l verno prima
  lo prun mostrarsi rigido e feroce,
  poscia portar la rosa in su la cima;
  e legno vidi già dritto e veloce
  correr lo mar per tutto suo cammino,
  perire al fine a lintrar de la foce.
  Non creda donna Berta e ser Martino,
  per vedere un furare, altro offerere,
  vederli dentro al consiglio divino;
  ché quel può surgere, e quel può cadere».
  Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
  movesi lacqua in un ritondo vaso,
  secondo chè percosso fuori o dentro:
  ne la mia mente fé sùbito caso
  questo chio dico, sì come si tacque
  la glorïosa vita di Tommaso,
  per la similitudine che nacque
  del suo parlare e di quel di Beatrice,
  a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
  «A costui fa mestieri, e nol vi dice
  né con la voce né pensando ancora,
  dun altro vero andare a la radice.
  Diteli se la luce onde sinfiora
  vostra sustanza, rimarrà con voi
  etternalmente sì com ell è ora;
  e se rimane, dite come, poi
  che sarete visibili rifatti,
  esser porà chal veder non vi nòi».
  Come, da più letizia pinti e tratti,
  a la fïata quei che vanno a rota
  levan la voce e rallegrano li atti,
  così, a lorazion pronta e divota,
  li santi cerchi mostrar nova gioia
  nel torneare e ne la mira nota.
  Qual si lamenta perché qui si moia
  per viver colà sù, non vide quive
  lo refrigerio de letterna ploia.
  Quell uno e due e tre che sempre vive
  e regna sempre in tre e n due e n uno,
  non circunscritto, e tutto circunscrive,
  tre volte era cantato da ciascuno
  di quelli spirti con tal melodia,
  chad ogne merto saria giusto muno.
  E io udi ne la luce più dia
  del minor cerchio una voce modesta,
  forse qual fu da langelo a Maria,
  risponder: «Quanto fia lunga la festa
  di paradiso, tanto il nostro amore
  si raggerà dintorno cotal vesta.
  La sua chiarezza séguita lardore;
  lardor la visïone, e quella è tanta,
  quant ha di grazia sovra suo valore.
  Come la carne glorïosa e santa
  fia rivestita, la nostra persona
  più grata fia per esser tutta quanta;
  per che saccrescerà ciò che ne dona
  di gratüito lume il sommo bene,
  lume cha lui veder ne condiziona;
  onde la visïon crescer convene,
  crescer lardor che di quella saccende,
  crescer lo raggio che da esso vene.
  Ma sì come carbon che fiamma rende,
  e per vivo candor quella soverchia,
  sì che la sua parvenza si difende;
  così questo folgór che già ne cerchia
  fia vinto in apparenza da la carne
  che tutto dì la terra ricoperchia;
  né potrà tanta luce affaticarne:
  ché li organi del corpo saran forti
  a tutto ciò che potrà dilettarne».
  Tanto mi parver sùbiti e accorti
  e luno e laltro coro a dicer «Amme!»,
  che ben mostrar disio di corpi morti:
  forse non pur per lor, ma per le mamme,
  per li padri e per li altri che fuor cari
  anzi che fosser sempiterne fiamme.
  Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
  nascere un lustro sopra quel che vera,
  per guisa dorizzonte che rischiari.
  E sì come al salir di prima sera
  comincian per lo ciel nove parvenze,
  sì che la vista pare e non par vera,
  parvemi lì novelle sussistenze
  cominciare a vedere, e fare un giro
  di fuor da laltre due circunferenze.
  Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
  come si fece sùbito e candente
  a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
  Ma Bëatrice sì bella e ridente
  mi si mostrò, che tra quelle vedute
  si vuol lasciar che non seguir la mente.
  Quindi ripreser li occhi miei virtute
  a rilevarsi; e vidimi translato
  sol con mia donna in più alta salute.
  Ben maccors io chio era più levato,
  per laffocato riso de la stella,
  che mi parea più roggio che lusato.
  Con tutto l core e con quella favella
  chè una in tutti, a Dio feci olocausto,
  qual conveniesi a la grazia novella.
  E non er anco del mio petto essausto
  lardor del sacrificio, chio conobbi
  esso litare stato accetto e fausto;
  ché con tanto lucore e tanto robbi
  mapparvero splendor dentro a due raggi,
  chio dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
  Come distinta da minori e maggi
  lumi biancheggia tra  poli del mondo
  Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
  sì costellati facean nel profondo
  Marte quei raggi il venerabil segno
  che fan giunture di quadranti in tondo.
  Qui vince la memoria mia lo ngegno;
  ché quella croce lampeggiava Cristo,
  sì chio non so trovare essempro degno;
  ma chi prende sua croce e segue Cristo,
  ancor mi scuserà di quel chio lasso,
  vedendo in quell albor balenar Cristo.
  Di corno in corno e tra la cima e l basso
  si movien lumi, scintillando forte
  nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
  così si veggion qui diritte e torte,
  veloci e tarde, rinovando vista,
  le minuzie di corpi, lunghe e corte,
  moversi per lo raggio onde si lista
  talvolta lombra che, per sua difesa,
  la gente con ingegno e arte acquista.
  E come giga e arpa, in tempra tesa
  di molte corde, fa dolce tintinno
  a tal da cui la nota non è intesa,
  così da lumi che lì mapparinno
  saccogliea per la croce una melode
  che mi rapiva, sanza intender linno.
  Ben maccors io chelli era dalte lode,
  però cha me venìa «Resurgi» e «Vinci»
  come a colui che non intende e ode.
  Ïo minnamorava tanto quinci,
  che nfino a lì non fu alcuna cosa
  che mi legasse con sì dolci vinci.
  Forse la mia parola par troppo osa,
  posponendo il piacer de li occhi belli,
  ne quai mirando mio disio ha posa;
  ma chi savvede che i vivi suggelli
  dogne bellezza più fanno più suso,
  e chio non mera lì rivolto a quelli,
  escusar puommi di quel chio maccuso
  per escusarmi, e vedermi dir vero:
  ché l piacer santo non è qui dischiuso,
  perché si fa, montando, più sincero.
  Benigna volontade in che si liqua
  sempre lamor che drittamente spira,
  come cupidità fa ne la iniqua,
  silenzio puose a quella dolce lira,
  e fece quïetar le sante corde
  che la destra del cielo allenta e tira.
  Come saranno a giusti preghi sorde
  quelle sustanze che, per darmi voglia
  chio le pregassi, a tacer fur concorde?
  Bene è che sanza termine si doglia
  chi, per amor di cosa che non duri
  etternalmente, quello amor si spoglia.
  Quale per li seren tranquilli e puri
  discorre ad ora ad or sùbito foco,
  movendo li occhi che stavan sicuri,
  e pare stella che tramuti loco,
  se non che da la parte ond e saccende
  nulla sen perde, ed esso dura poco:
  tale dal corno che n destro si stende
  a piè di quella croce corse un astro
  de la costellazion che lì resplende;
  né si partì la gemma dal suo nastro,
  ma per la lista radïal trascorse,
  che parve foco dietro ad alabastro.
  Sì pïa lombra dAnchise si porse,
  se fede merta nostra maggior musa,
  quando in Eliso del figlio saccorse.
  «O sanguis meus, o superinfusa
  gratïa Deï, sicut tibi cui
  bis unquam celi ianüa reclusa?».
  Così quel lume: ond io mattesi a lui;
  poscia rivolsi a la mia donna il viso,
  e quinci e quindi stupefatto fui;
  ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
  tal, chio pensai co miei toccar lo fondo
  de la mia gloria e del mio paradiso.
  Indi, a udire e a veder giocondo,
  giunse lo spirto al suo principio cose,
  chio non lo ntesi, sì parlò profondo;
  né per elezïon mi si nascose,
  ma per necessità, ché l suo concetto
  al segno di mortal si soprapuose.
  E quando larco de lardente affetto
  fu sì sfogato, che l parlar discese
  inver lo segno del nostro intelletto,
  la prima cosa che per me sintese,
  «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
  che nel mio seme se tanto cortese!».
  E seguì: «Grato e lontano digiuno,
  tratto leggendo del magno volume
  du non si muta mai bianco né bruno,
  solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
  in chio ti parlo, mercè di colei
  cha lalto volo ti vestì le piume.
  Tu credi che a me tuo pensier mei
  da quel chè primo, così come raia
  da lun, se si conosce, il cinque e l sei;
  e però chio mi sia e perch io paia
  più gaudïoso a te, non mi domandi,
  che alcun altro in questa turba gaia.
  Tu credi l vero; ché i minori e  grandi
  di questa vita miran ne lo speglio
  in che, prima che pensi, il pensier pandi;
  ma perché l sacro amore in che io veglio
  con perpetüa vista e che masseta
  di dolce disïar, sadempia meglio,
  la voce tua sicura, balda e lieta
  suoni la volontà, suoni l disio,
  a che la mia risposta è già decreta!».
  Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
  pria chio parlassi, e arrisemi un cenno
  che fece crescer lali al voler mio.
  Poi cominciai così: «Laffetto e l senno,
  come la prima equalità vapparse,
  dun peso per ciascun di voi si fenno,
  però che l sol che vallumò e arse,
  col caldo e con la luce è sì iguali,
  che tutte simiglianze sono scarse.
  Ma voglia e argomento ne mortali,
  per la cagion cha voi è manifesta,
  diversamente son pennuti in ali;
  ond io, che son mortal, mi sento in questa
  disagguaglianza, e però non ringrazio
  se non col core a la paterna festa.
  Ben supplico io a te, vivo topazio
  che questa gioia prezïosa ingemmi,
  perché mi facci del tuo nome sazio».
  «O fronda mia in che io compiacemmi
  pur aspettando, io fui la tua radice»:
  cotal principio, rispondendo, femmi.
  Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
  tua cognazione e che cent anni e piùe
  girato ha l monte in la prima cornice,
  mio figlio fu e tuo bisavol fue:
  ben si convien che la lunga fatica
  tu li raccorci con lopere tue.
  Fiorenza dentro da la cerchia antica,
  ond ella toglie ancora e terza e nona,
  si stava in pace, sobria e pudica.
  Non avea catenella, non corona,
  non gonne contigiate, non cintura
  che fosse a veder più che la persona.
  Non faceva, nascendo, ancor paura
  la figlia al padre, che l tempo e la dote
  non fuggien quinci e quindi la misura.
  Non avea case di famiglia vòte;
  non vera giunto ancor Sardanapalo
  a mostrar ciò che n camera si puote.
  Non era vinto ancora Montemalo
  dal vostro Uccellatoio, che, com è vinto
  nel montar sù, così sarà nel calo.
  Bellincion Berti vid io andar cinto
  di cuoio e dosso, e venir da lo specchio
  la donna sua sanza l viso dipinto;
  e vidi quel di Nerli e quel del Vecchio
  esser contenti a la pelle scoperta,
  e le sue donne al fuso e al pennecchio.
  Oh fortunate! ciascuna era certa
  de la sua sepultura, e ancor nulla
  era per Francia nel letto diserta.
  Luna vegghiava a studio de la culla,
  e, consolando, usava lidïoma
  che prima i padri e le madri trastulla;
  laltra, traendo a la rocca la chioma,
  favoleggiava con la sua famiglia
  di Troiani, di Fiesole e di Roma.
  Saria tenuta allor tal maraviglia
  una Cianghella, un Lapo Salterello,
  qual or saria Cincinnato e Corniglia.
  A così riposato, a così bello
  viver di cittadini, a così fida
  cittadinanza, a così dolce ostello,
  Maria mi diè, chiamata in alte grida;
  e ne lantico vostro Batisteo
  insieme fui cristiano e Cacciaguida.
  Moronto fu mio frate ed Eliseo;
  mia donna venne a me di val di Pado,
  e quindi il sopranome tuo si feo.
  Poi seguitai lo mperador Currado;
  ed el mi cinse de la sua milizia,
  tanto per bene ovrar li venni in grado.
  Dietro li andai incontro a la nequizia
  di quella legge il cui popolo usurpa,
  per colpa di pastor, vostra giustizia.
  Quivi fu io da quella gente turpa
  disviluppato dal mondo fallace,
  lo cui amor molt anime deturpa;
  e venni dal martiro a questa pace».
  O poca nostra nobiltà di sangue,
  se glorïar di te la gente fai
  qua giù dove laffetto nostro langue,
  mirabil cosa non mi sarà mai:
  ché là dove appetito non si torce,
  dico nel cielo, io me ne gloriai.
  Ben se tu manto che tosto raccorce:
  sì che, se non sappon di dì in die,
  lo tempo va dintorno con le force.
  Dal voi che prima a Roma sofferie,
  in che la sua famiglia men persevra,
  ricominciaron le parole mie;
  onde Beatrice, chera un poco scevra,
  ridendo, parve quella che tossio
  al primo fallo scritto di Ginevra.
  Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
  voi mi date a parlar tutta baldezza;
  voi mi levate sì, chi son più chio.
  Per tanti rivi sempie dallegrezza
  la mente mia, che di sé fa letizia
  perché può sostener che non si spezza.
  Ditemi dunque, cara mia primizia,
  quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
  che si segnaro in vostra püerizia;
  ditemi de lovil di San Giovanni
  quanto era allora, e chi eran le genti
  tra esso degne di più alti scanni».
  Come savviva a lo spirar di venti
  carbone in fiamma, così vid io quella
  luce risplendere a miei blandimenti;
  e come a li occhi miei si fé più bella,
  così con voce più dolce e soave,
  ma non con questa moderna favella,
  dissemi: «Da quel dì che fu detto Ave
  al parto in che mia madre, chè or santa,
  sallevïò di me ond era grave,
  al suo Leon cinquecento cinquanta
  e trenta fiate venne questo foco
  a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
  Li antichi miei e io nacqui nel loco
  dove si truova pria lultimo sesto
  da quei che corre il vostro annüal gioco.
  Basti di miei maggiori udirne questo:
  chi ei si fosser e onde venner quivi,
  più è tacer che ragionare onesto.
  Tutti color cha quel tempo eran ivi
  da poter arme tra Marte e l Batista,
  eran il quinto di quei chor son vivi.
  Ma la cittadinanza, chè or mista
  di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
  pura vediesi ne lultimo artista.
  Oh quanto fora meglio esser vicine
  quelle genti chio dico, e al Galluzzo
  e a Trespiano aver vostro confine,
  che averle dentro e sostener lo puzzo
  del villan dAguglion, di quel da Signa,
  che già per barattare ha locchio aguzzo!
  Se la gente chal mondo più traligna
  non fosse stata a Cesare noverca,
  ma come madre a suo figlio benigna,
  tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
  che si sarebbe vòlto a Simifonti,
  là dove andava lavolo a la cerca;
  sariesi Montemurlo ancor de Conti;
  sarieno i Cerchi nel piovier dAcone,
  e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
  Sempre la confusion de le persone
  principio fu del mal de la cittade,
  come del vostro il cibo che sappone;
  e cieco toro più avaccio cade
  che cieco agnello; e molte volte taglia
  più e meglio una che le cinque spade.
  Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
  come sono ite, e come se ne vanno
  di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
  udir come le schiatte si disfanno
  non ti parrà nova cosa né forte,
  poscia che le cittadi termine hanno.
  Le vostre cose tutte hanno lor morte,
  sì come voi; ma celasi in alcuna
  che dura molto, e le vite son corte.
  E come l volger del ciel de la luna
  cuopre e discuopre i liti sanza posa,
  così fa di Fiorenza la Fortuna:
  per che non dee parer mirabil cosa
  ciò chio dirò de li alti Fiorentini
  onde è la fama nel tempo nascosa.
  Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
  Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
  già nel calare, illustri cittadini;
  e vidi così grandi come antichi,
  con quel de la Sannella, quel de lArca,
  e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
  Sovra la porta chal presente è carca
  di nova fellonia di tanto peso
  che tosto fia iattura de la barca,
  erano i Ravignani, ond è disceso
  il conte Guido e qualunque del nome
  de lalto Bellincione ha poscia preso.
  Quel de la Pressa sapeva già come
  regger si vuole, e avea Galigaio
  dorata in casa sua già lelsa e l pome.
  Grand era già la colonna del Vaio,
  Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
  e Galli e quei charrossan per lo staio.
  Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
  era già grande, e già eran tratti
  a le curule Sizii e Arrigucci.
  Oh quali io vidi quei che son disfatti
  per lor superbia! e le palle de loro
  fiorian Fiorenza in tutt i suoi gran fatti.
  Così facieno i padri di coloro
  che, sempre che la vostra chiesa vaca,
  si fanno grassi stando a consistoro.
  Loltracotata schiatta che sindraca
  dietro a chi fugge, e a chi mostra l dente
  o ver la borsa, com agnel si placa,
  già venìa sù, ma di picciola gente;
  sì che non piacque ad Ubertin Donato
  che poï il suocero il fé lor parente.
  Già era l Caponsacco nel mercato
  disceso giù da Fiesole, e già era
  buon cittadino Giuda e Infangato.
  Io dirò cosa incredibile e vera:
  nel picciol cerchio sentrava per porta
  che si nomava da quei de la Pera.
  Ciascun che de la bella insegna porta
  del gran barone il cui nome e l cui pregio
  la festa di Tommaso riconforta,
  da esso ebbe milizia e privilegio;
  avvegna che con popol si rauni
  oggi colui che la fascia col fregio.
  Già eran Gualterotti e Importuni;
  e ancor saria Borgo più quïeto,
  se di novi vicin fosser digiuni.
  La casa di che nacque il vostro fleto,
  per lo giusto disdegno che vha morti
  e puose fine al vostro viver lieto,
  era onorata, essa e suoi consorti:
  o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
  le nozze süe per li altrui conforti!
  Molti sarebber lieti, che son tristi,
  se Dio tavesse conceduto ad Ema
  la prima volta cha città venisti.
  Ma conveniesi a quella pietra scema
  che guarda l ponte, che Fiorenza fesse
  vittima ne la sua pace postrema.
  Con queste genti, e con altre con esse,
  vid io Fiorenza in sì fatto riposo,
  che non avea cagione onde piangesse.
  Con queste genti vidio glorïoso
  e giusto il popol suo, tanto che l giglio
  non era ad asta mai posto a ritroso,
  né per divisïon fatto vermiglio».
  Qual venne a Climenè, per accertarsi
  di ciò chavëa incontro a sé udito,
  quei chancor fa li padri ai figli scarsi;
  tal era io, e tal era sentito
  e da Beatrice e da la santa lampa
  che pria per me avea mutato sito.
  Per che mia donna «Manda fuor la vampa
  del tuo disio», mi disse, «sì chella esca
  segnata bene de la interna stampa:
  non perché nostra conoscenza cresca
  per tuo parlare, ma perché tausi
  a dir la sete, sì che luom ti mesca».
  «O cara piota mia che sì tinsusi,
  che, come veggion le terrene menti
  non capere in trïangol due ottusi,
  così vedi le cose contingenti
  anzi che sieno in sé, mirando il punto
  a cui tutti li tempi son presenti;
  mentre chio era a Virgilio congiunto
  su per lo monte che lanime cura
  e discendendo nel mondo defunto,
  dette mi fuor di mia vita futura
  parole gravi, avvegna chio mi senta
  ben tetragono ai colpi di ventura;
  per che la voglia mia saria contenta
  dintender qual fortuna mi sappressa:
  ché saetta previsa vien più lenta».
  Così diss io a quella luce stessa
  che pria mavea parlato; e come volle
  Beatrice, fu la mia voglia confessa.
  Né per ambage, in che la gente folle
  già sinviscava pria che fosse anciso
  lAgnel di Dio che le peccata tolle,
  ma per chiare parole e con preciso
  latin rispuose quello amor paterno,
  chiuso e parvente del suo proprio riso:
  «La contingenza, che fuor del quaderno
  de la vostra matera non si stende,
  tutta è dipinta nel cospetto etterno;
  necessità però quindi non prende
  se non come dal viso in che si specchia
  nave che per torrente giù discende.
  Da indi, sì come viene ad orecchia
  dolce armonia da organo, mi viene
  a vista il tempo che ti sapparecchia.
  Qual si partio Ipolito dAtene
  per la spietata e perfida noverca,
  tal di Fiorenza partir ti convene.
  Questo si vuole e questo già si cerca,
  e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
  là dove Cristo tutto dì si merca.
  La colpa seguirà la parte offensa
  in grido, come suol; ma la vendetta
  fia testimonio al ver che la dispensa.
  Tu lascerai ogne cosa diletta
  più caramente; e questo è quello strale
  che larco de lo essilio pria saetta.
  Tu proverai sì come sa di sale
  lo pane altrui, e come è duro calle
  lo scendere e l salir per laltrui scale.
  E quel che più ti graverà le spalle,
  sarà la compagnia malvagia e scempia
  con la qual tu cadrai in questa valle;
  che tutta ingrata, tutta matta ed empia
  si farà contr a te; ma, poco appresso,
  ella, non tu, navrà rossa la tempia.
  Di sua bestialitate il suo processo
  farà la prova; sì cha te fia bello
  averti fatta parte per te stesso.
  Lo primo tuo refugio e l primo ostello
  sarà la cortesia del gran Lombardo
  che n su la scala porta il santo uccello;
  chin te avrà sì benigno riguardo,
  che del fare e del chieder, tra voi due,
  fia primo quel che tra li altri è più tardo.
  Con lui vedrai colui che mpresso fue,
  nascendo, sì da questa stella forte,
  che notabili fier lopere sue.
  Non se ne son le genti ancora accorte
  per la novella età, ché pur nove anni
  son queste rote intorno di lui torte;
  ma pria che l Guasco lalto Arrigo inganni,
  parran faville de la sua virtute
  in non curar dargento né daffanni.
  Le sue magnificenze conosciute
  saranno ancora, sì che  suoi nemici
  non ne potran tener le lingue mute.
  A lui taspetta e a suoi benefici;
  per lui fia trasmutata molta gente,
  cambiando condizion ricchi e mendici;
  e porterane scritto ne la mente
  di lui, e nol dirai»; e disse cose
  incredibili a quei che fier presente.
  Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
  di quel che ti fu detto; ecco le nsidie
  che dietro a pochi giri son nascose.
  Non vo però cha tuoi vicini invidie,
  poscia che sinfutura la tua vita
  vie più là che l punir di lor perfidie».
  Poi che, tacendo, si mostrò spedita
  lanima santa di metter la trama
  in quella tela chio le porsi ordita,
  io cominciai, come colui che brama,
  dubitando, consiglio da persona
  che vede e vuol dirittamente e ama:
  «Ben veggio, padre mio, sì come sprona
  lo tempo verso me, per colpo darmi
  tal, chè più grave a chi più sabbandona;
  per che di provedenza è buon chio marmi,
  sì che, se loco mè tolto più caro,
  io non perdessi li altri per miei carmi.
  Giù per lo mondo sanza fine amaro,
  e per lo monte del cui bel cacume
  li occhi de la mia donna mi levaro,
  e poscia per lo ciel, di lume in lume,
  ho io appreso quel che sio ridico,
  a molti fia sapor di forte agrume;
  e sio al vero son timido amico,
  temo di perder viver tra coloro
  che questo tempo chiameranno antico».
  La luce in che rideva il mio tesoro
  chio trovai lì, si fé prima corusca,
  quale a raggio di sole specchio doro;
  indi rispuose: «Coscïenza fusca
  o de la propria o de laltrui vergogna
  pur sentirà la tua parola brusca.
  Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
  tutta tua visïon fa manifesta;
  e lascia pur grattar dov è la rogna.
  Ché se la voce tua sarà molesta
  nel primo gusto, vital nodrimento
  lascerà poi, quando sarà digesta.
  Questo tuo grido farà come vento,
  che le più alte cime più percuote;
  e ciò non fa donor poco argomento.
  Però ti son mostrate in queste rote,
  nel monte e ne la valle dolorosa
  pur lanime che son di fama note,
  che lanimo di quel chode, non posa
  né ferma fede per essempro chaia
  la sua radice incognita e ascosa,
  né per altro argomento che non paia».
  Già si godeva solo del suo verbo
  quello specchio beato, e io gustava
  lo mio, temprando col dolce lacerbo;
  e quella donna cha Dio mi menava
  disse: «Muta pensier; pensa chi sono
  presso a colui chogne torto disgrava».
  Io mi rivolsi a lamoroso suono
  del mio conforto; e qual io allor vidi
  ne li occhi santi amor, qui labbandono:
  non perch io pur del mio parlar diffidi,
  ma per la mente che non può redire
  sovra sé tanto, saltri non la guidi.
  Tanto poss io di quel punto ridire,
  che, rimirando lei, lo mio affetto
  libero fu da ogne altro disire,
  fin che l piacere etterno, che diretto
  raggiava in Bëatrice, dal bel viso
  mi contentava col secondo aspetto.
  Vincendo me col lume dun sorriso,
  ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
  ché non pur ne miei occhi è paradiso».
  Come si vede qui alcuna volta
  laffetto ne la vista, selli è tanto,
  che da lui sia tutta lanima tolta,
  così nel fiammeggiar del folgór santo,
  a chio mi volsi, conobbi la voglia
  in lui di ragionarmi ancora alquanto.
  El cominciò: «In questa quinta soglia
  de lalbero che vive de la cima
  e frutta sempre e mai non perde foglia,
  spiriti son beati, che giù, prima
  che venissero al ciel, fuor di gran voce,
  sì chogne musa ne sarebbe opima.
  Però mira ne corni de la croce:
  quello chio nomerò, lì farà latto
  che fa in nube il suo foco veloce».
  Io vidi per la croce un lume tratto
  dal nomar Iosuè, com el si feo;
  né mi fu noto il dir prima che l fatto.
  E al nome de lalto Macabeo
  vidi moversi un altro roteando,
  e letizia era ferza del paleo.
  Così per Carlo Magno e per Orlando
  due ne seguì lo mio attento sguardo,
  com occhio segue suo falcon volando.
  Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
  e l duca Gottifredi la mia vista
  per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
  Indi, tra laltre luci mota e mista,
  mostrommi lalma che mavea parlato
  qual era tra i cantor del cielo artista.
  Io mi rivolsi dal mio destro lato
  per vedere in Beatrice il mio dovere,
  o per parlare o per atto, segnato;
  e vidi le sue luci tanto mere,
  tanto gioconde, che la sua sembianza
  vinceva li altri e lultimo solere.
  E come, per sentir più dilettanza
  bene operando, luom di giorno in giorno
  saccorge che la sua virtute avanza,
  sì maccors io che l mio girare intorno
  col cielo insieme avea cresciuto larco,
  veggendo quel miracol più addorno.
  E qual è l trasmutare in picciol varco
  di tempo in bianca donna, quando l volto
  suo si discarchi di vergogna il carco,
  tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
  per lo candor de la temprata stella
  sesta, che dentro a sé mavea ricolto.
  Io vidi in quella giovïal facella
  lo sfavillar de lamor che lì era
  segnare a li occhi miei nostra favella.
  E come augelli surti di rivera,
  quasi congratulando a lor pasture,
  fanno di sé or tonda or altra schiera,
  sì dentro ai lumi sante creature
  volitando cantavano, e faciensi
  or D, or I, or L in sue figure.
  Prima, cantando, a sua nota moviensi;
  poi, diventando lun di questi segni,
  un poco sarrestavano e taciensi.
  O diva Pegasëa che li ngegni
  fai glorïosi e rendili longevi,
  ed essi teco le cittadi e  regni,
  illustrami di te, sì chio rilevi
  le lor figure com io lho concette:
  paia tua possa in questi versi brevi!
  Mostrarsi dunque in cinque volte sette
  vocali e consonanti; e io notai
  le parti sì, come mi parver dette.
  DILIGITE IUSTITIAM, primai
  fur verbo e nome di tutto l dipinto;
  QUI IUDICATIS TERRAM, fur sezzai.
  Poscia ne lemme del vocabol quinto
  rimasero ordinate; sì che Giove
  pareva argento lì doro distinto.
  E vidi scendere altre luci dove
  era il colmo de lemme, e lì quetarsi
  cantando, credo, il ben cha sé le move.
  Poi, come nel percuoter di ciocchi arsi
  surgono innumerabili faville,
  onde li stolti sogliono agurarsi,
  resurger parver quindi più di mille
  luci e salir, qual assai e qual poco,
  sì come l sol che laccende sortille;
  e quïetata ciascuna in suo loco,
  la testa e l collo dunaguglia vidi
  rappresentare a quel distinto foco.
  Quei che dipinge lì, non ha chi l guidi;
  ma esso guida, e da lui si rammenta
  quella virtù chè forma per li nidi.
  Laltra bëatitudo, che contenta
  pareva prima dingigliarsi a lemme,
  con poco moto seguitò la mprenta.
  O dolce stella, quali e quante gemme
  mi dimostraro che nostra giustizia
  effetto sia del ciel che tu ingemme!
  Per chio prego la mente in che sinizia
  tuo moto e tua virtute, che rimiri
  ond esce il fummo che l tuo raggio vizia;
  sì chunaltra fïata omai sadiri
  del comperare e vender dentro al templo
  che si murò di segni e di martìri.
  O milizia del ciel cu io contemplo,
  adora per color che sono in terra
  tutti svïati dietro al malo essemplo!
  Già si solea con le spade far guerra;
  ma or si fa togliendo or qui or quivi
  lo pan che l pïo Padre a nessun serra.
  Ma tu che sol per cancellare scrivi,
  pensa che Pietro e Paulo, che moriro
  per la vigna che guasti, ancor son vivi.
  Ben puoi tu dire: «I ho fermo l disiro
  sì a colui che volle viver solo
  e che per salti fu tratto al martiro,
  chio non conosco il pescator né Polo».
  Parea dinanzi a me con lali aperte
  la bella image che nel dolce frui
  liete facevan lanime conserte;
  parea ciascuna rubinetto in cui
  raggio di sole ardesse sì acceso,
  che ne miei occhi rifrangesse lui.
  E quel che mi convien ritrar testeso,
  non portò voce mai, né scrisse incostro,
  né fu per fantasia già mai compreso;
  chio vidi e anche udi parlar lo rostro,
  e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
  quand era nel concetto e noi e nostro.
  E cominciò: «Per esser giusto e pio
  son io qui essaltato a quella gloria
  che non si lascia vincere a disio;
  e in terra lasciai la mia memoria
  sì fatta, che le genti lì malvage
  commendan lei, ma non seguon la storia».
  Così un sol calor di molte brage
  si fa sentir, come di molti amori
  usciva solo un suon di quella image.
  Ond io appresso: «O perpetüi fiori
  de letterna letizia, che pur uno
  parer mi fate tutti vostri odori,
  solvetemi, spirando, il gran digiuno
  che lungamente mha tenuto in fame,
  non trovandoli in terra cibo alcuno.
  Ben so io che, se n cielo altro reame
  la divina giustizia fa suo specchio,
  che l vostro non lapprende con velame.
  Sapete come attento io mapparecchio
  ad ascoltar; sapete qual è quello
  dubbio che mè digiun cotanto vecchio».
  Quasi falcone chesce del cappello,
  move la testa e con lali si plaude,
  voglia mostrando e faccendosi bello,
  vid io farsi quel segno, che di laude
  de la divina grazia era contesto,
  con canti quai si sa chi là sù gaude.
  Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
  a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
  distinse tanto occulto e manifesto,
  non poté suo valor sì fare impresso
  in tutto luniverso, che l suo verbo
  non rimanesse in infinito eccesso.
  E ciò fa certo che l primo superbo,
  che fu la somma dogne creatura,
  per non aspettar lume, cadde acerbo;
  e quinci appar chogne minor natura
  è corto recettacolo a quel bene
  che non ha fine e sé con sé misura.
  Dunque vostra veduta, che convene
  esser alcun de raggi de la mente
  di che tutte le cose son ripiene,
  non pò da sua natura esser possente
  tanto, che suo principio discerna
  molto di là da quel che lè parvente.
  Però ne la giustizia sempiterna
  la vista che riceve il vostro mondo,
  com occhio per lo mare, entro sinterna;
  che, ben che da la proda veggia il fondo,
  in pelago nol vede; e nondimeno
  èli, ma cela lui lesser profondo.
  Lume non è, se non vien dal sereno
  che non si turba mai; anzi è tenèbra
  od ombra de la carne o suo veleno.
  Assai tè mo aperta la latebra
  che tascondeva la giustizia viva,
  di che facei question cotanto crebra;
  ché tu dicevi: Un uom nasce a la riva
  de lIndo, e quivi non è chi ragioni
  di Cristo né chi legga né chi scriva;
  e tutti suoi voleri e atti buoni
  sono, quanto ragione umana vede,
  sanza peccato in vita o in sermoni.
  Muore non battezzato e sanza fede:
  ov è questa giustizia che l condanna?
  ov è la colpa sua, se ei non crede?.
  Or tu chi se, che vuo sedere a scranna,
  per giudicar di lungi mille miglia
  con la veduta corta duna spanna?
  Certo a colui che meco sassottiglia,
  se la Scrittura sovra voi non fosse,
  da dubitar sarebbe a maraviglia.
  Oh terreni animali! oh menti grosse!
  La prima volontà, chè da sé buona,
  da sé, chè sommo ben, mai non si mosse.
  Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
  nullo creato bene a sé la tira,
  ma essa, radïando, lui cagiona».
  Quale sovresso il nido si rigira
  poi cha pasciuti la cicogna i figli,
  e come quel chè pasto la rimira;
  cotal si fece, e sì leväi i cigli,
  la benedetta imagine, che lali
  movea sospinte da tanti consigli.
  Roteando cantava, e dicea: «Quali
  son le mie note a te, che non le ntendi,
  tal è il giudicio etterno a voi mortali».
  Poi si quetaro quei lucenti incendi
  de lo Spirito Santo ancor nel segno
  che fé i Romani al mondo reverendi,
  esso ricominciò: «A questo regno
  non salì mai chi non credette n Cristo,
  né pria né poi chel si chiavasse al legno.
  Ma vedi: molti gridan Cristo, Cristo!,
  che saranno in giudicio assai men prope
  a lui, che tal che non conosce Cristo;
  e tai Cristian dannerà lEtïòpe,
  quando si partiranno i due collegi,
  luno in etterno ricco e laltro inòpe.
  Che poran dir li Perse a vostri regi,
  come vedranno quel volume aperto
  nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
  Lì si vedrà, tra lopere dAlberto,
  quella che tosto moverà la penna,
  per che l regno di Praga fia diserto.
  Lì si vedrà il duol che sovra Senna
  induce, falseggiando la moneta,
  quel che morrà di colpo di cotenna.
  Lì si vedrà la superbia chasseta,
  che fa lo Scotto e lInghilese folle,
  sì che non può soffrir dentro a sua meta.
  Vedrassi la lussuria e l viver molle
  di quel di Spagna e di quel di Boemme,
  che mai valor non conobbe né volle.
  Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
  segnata con un i la sua bontate,
  quando l contrario segnerà un emme.
  Vedrassi lavarizia e la viltate
  di quei che guarda lisola del foco,
  ove Anchise finì la lunga etate;
  e a dare ad intender quanto è poco,
  la sua scrittura fian lettere mozze,
  che noteranno molto in parvo loco.
  E parranno a ciascun lopere sozze
  del barba e del fratel, che tanto egregia
  nazione e due corone han fatte bozze.
  E quel di Portogallo e di Norvegia
  lì si conosceranno, e quel di Rascia
  che male ha visto il conio di Vinegia.
  Oh beata Ungheria, se non si lascia
  più malmenare! e beata Navarra,
  se sarmasse del monte che la fascia!
  E creder de ciascun che già, per arra
  di questo, Niccosïa e Famagosta
  per la lor bestia si lamenti e garra,
  che dal fianco de laltre non si scosta».
  Quando colui che tutto l mondo alluma
  de lemisperio nostro sì discende,
  che l giorno dogne parte si consuma,
  lo ciel, che sol di lui prima saccende,
  subitamente si rifà parvente
  per molte luci, in che una risplende;
  e questo atto del ciel mi venne a mente,
  come l segno del mondo e de suoi duci
  nel benedetto rostro fu tacente;
  però che tutte quelle vive luci,
  vie più lucendo, cominciaron canti
  da mia memoria labili e caduci.
  O dolce amor che di riso tammanti,
  quanto parevi ardente in que flailli,
  chavieno spirto sol di pensier santi!
  Poscia che i cari e lucidi lapilli
  ond io vidi ingemmato il sesto lume
  puoser silenzio a li angelici squilli,
  udir mi parve un mormorar di fiume
  che scende chiaro giù di pietra in pietra,
  mostrando lubertà del suo cacume.
  E come suono al collo de la cetra
  prende sua forma, e sì com al pertugio
  de la sampogna vento che penètra,
  così, rimosso daspettare indugio,
  quel mormorar de laguglia salissi
  su per lo collo, come fosse bugio.
  Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
  per lo suo becco in forma di parole,
  quali aspettava il core ov io le scrissi.
  «La parte in me che vede e pate il sole
  ne laguglie mortali», incominciommi,
  «or fisamente riguardar si vole,
  perché di fuochi ond io figura fommi,
  quelli onde locchio in testa mi scintilla,
  e di tutti lor gradi son li sommi.
  Colui che luce in mezzo per pupilla,
  fu il cantor de lo Spirito Santo,
  che larca traslatò di villa in villa:
  ora conosce il merto del suo canto,
  in quanto effetto fu del suo consiglio,
  per lo remunerar chè altrettanto.
  Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
  colui che più al becco mi saccosta,
  la vedovella consolò del figlio:
  ora conosce quanto caro costa
  non seguir Cristo, per lesperïenza
  di questa dolce vita e de lopposta.
  E quel che segue in la circunferenza
  di che ragiono, per larco superno,
  morte indugiò per vera penitenza:
  ora conosce che l giudicio etterno
  non si trasmuta, quando degno preco
  fa crastino là giù de lodïerno.
  Laltro che segue, con le leggi e meco,
  sotto buona intenzion che fé mal frutto,
  per cedere al pastor si fece greco:
  ora conosce come il mal dedutto
  dal suo bene operar non li è nocivo,
  avvegna che sia l mondo indi distrutto.
  E quel che vedi ne larco declivo,
  Guiglielmo fu, cui quella terra plora
  che piagne Carlo e Federigo vivo:
  ora conosce come sinnamora
  lo ciel del giusto rege, e al sembiante
  del suo fulgore il fa vedere ancora.
  Chi crederebbe giù nel mondo errante
  che Rifëo Troiano in questo tondo
  fosse la quinta de le luci sante?
  Ora conosce assai di quel che l mondo
  veder non può de la divina grazia,
  ben che sua vista non discerna il fondo».
  Quale allodetta che n aere si spazia
  prima cantando, e poi tace contenta
  de lultima dolcezza che la sazia,
  tal mi sembiò limago de la mprenta
  de letterno piacere, al cui disio
  ciascuna cosa qual ell è diventa.
  E avvegna chio fossi al dubbiar mio
  lì quasi vetro a lo color chel veste,
  tempo aspettar tacendo non patio,
  ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
  mi pinse con la forza del suo peso:
  per chio di coruscar vidi gran feste.
  Poi appresso, con locchio più acceso,
  lo benedetto segno mi rispuose
  per non tenermi in ammirar sospeso:
  «Io veggio che tu credi queste cose
  perch io le dico, ma non vedi come;
  sì che, se son credute, sono ascose.
  Fai come quei che la cosa per nome
  apprende ben, ma la sua quiditate
  veder non può se altri non la prome.
  Regnum celorum vïolenza pate
  da caldo amore e da viva speranza,
  che vince la divina volontate:
  non a guisa che lomo a lom sobranza,
  ma vince lei perché vuole esser vinta,
  e, vinta, vince con sua beninanza.
  La prima vita del ciglio e la quinta
  ti fa maravigliar, perché ne vedi
  la regïon de li angeli dipinta.
  Di corpi suoi non uscir, come credi,
  Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
  quel di passuri e quel di passi piedi.
  Ché luna de lo nferno, u non si riede
  già mai a buon voler, tornò a lossa;
  e ciò di viva spene fu mercede:
  di viva spene, che mise la possa
  ne prieghi fatti a Dio per suscitarla,
  sì che potesse sua voglia esser mossa.
  Lanima glorïosa onde si parla,
  tornata ne la carne, in che fu poco,
  credette in lui che potëa aiutarla;
  e credendo saccese in tanto foco
  di vero amor, cha la morte seconda
  fu degna di venire a questo gioco.
  Laltra, per grazia che da sì profonda
  fontana stilla, che mai creatura
  non pinse locchio infino a la prima onda,
  tutto suo amor là giù pose a drittura:
  per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
  locchio a la nostra redenzion futura;
  ond ei credette in quella, e non sofferse
  da indi il puzzo più del paganesmo;
  e riprendiene le genti perverse.
  Quelle tre donne li fur per battesmo
  che tu vedesti da la destra rota,
  dinanzi al battezzar più dun millesmo.
  O predestinazion, quanto remota
  è la radice tua da quelli aspetti
  che la prima cagion non veggion tota!
  E voi, mortali, tenetevi stretti
  a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
  non conosciamo ancor tutti li eletti;
  ed ènne dolce così fatto scemo,
  perché il ben nostro in questo ben saffina,
  che quel che vole Iddio, e noi volemo».
  Così da quella imagine divina,
  per farmi chiara la mia corta vista,
  data mi fu soave medicina.
  E come a buon cantor buon citarista
  fa seguitar lo guizzo de la corda,
  in che più di piacer lo canto acquista,
  sì, mentre che parlò, sì mi ricorda
  chio vidi le due luci benedette,
  pur come batter docchi si concorda,
  con le parole mover le fiammette.
  Già eran li occhi miei rifissi al volto
  de la mia donna, e lanimo con essi,
  e da ogne altro intento sera tolto.
  E quella non ridea; ma «Sio ridessi»,
  mi cominciò, «tu ti faresti quale
  fu Semelè quando di cener fessi:
  ché la bellezza mia, che per le scale
  de letterno palazzo più saccende,
  com hai veduto, quanto più si sale,
  se non si temperasse, tanto splende,
  che l tuo mortal podere, al suo fulgore,
  sarebbe fronda che trono scoscende.
  Noi sem levati al settimo splendore,
  che sotto l petto del Leone ardente
  raggia mo misto giù del suo valore.
  Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
  e fa di quelli specchi a la figura
  che n questo specchio ti sarà parvente».
  Qual savesse qual era la pastura
  del viso mio ne laspetto beato
  quand io mi trasmutai ad altra cura,
  conoscerebbe quanto mera a grato
  ubidire a la mia celeste scorta,
  contrapesando lun con laltro lato.
  Dentro al cristallo che l vocabol porta,
  cerchiando il mondo, del suo caro duce
  sotto cui giacque ogne malizia morta,
  di color doro in che raggio traluce
  vid io uno scaleo eretto in suso
  tanto, che nol seguiva la mia luce.
  Vidi anche per li gradi scender giuso
  tanti splendor, chio pensai chogne lume
  che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
  E come, per lo natural costume,
  le pole insieme, al cominciar del giorno,
  si movono a scaldar le fredde piume;
  poi altre vanno via sanza ritorno,
  altre rivolgon sé onde son mosse,
  e altre roteando fan soggiorno;
  tal modo parve me che quivi fosse
  in quello sfavillar che nsieme venne,
  sì come in certo grado si percosse.
  E quel che presso più ci si ritenne,
  si fé sì chiaro, chio dicea pensando:
  Io veggio ben lamor che tu maccenne.
  Ma quella ond io aspetto il come e l quando
  del dire e del tacer, si sta; ond io,
  contra l disio, fo ben chio non dimando.
  Per chella, che vedëa il tacer mio
  nel veder di colui che tutto vede,
  mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
  E io incominciai: «La mia mercede
  non mi fa degno de la tua risposta;
  ma per colei che l chieder mi concede,
  vita beata che ti stai nascosta
  dentro a la tua letizia, fammi nota
  la cagion che sì presso mi tha posta;
  e dì perché si tace in questa rota
  la dolce sinfonia di paradiso,
  che giù per laltre suona sì divota».
  «Tu hai ludir mortal sì come il viso»,
  rispuose a me; «onde qui non si canta
  per quel che Bëatrice non ha riso.
  Giù per li gradi de la scala santa
  discesi tanto sol per farti festa
  col dire e con la luce che mi ammanta;
  né più amor mi fece esser più presta,
  ché più e tanto amor quinci sù ferve,
  sì come il fiammeggiar ti manifesta.
  Ma lalta carità, che ci fa serve
  pronte al consiglio che l mondo governa,
  sorteggia qui sì come tu osserve».
  «Io veggio ben», diss io, «sacra lucerna,
  come libero amore in questa corte
  basta a seguir la provedenza etterna;
  ma questo è quel cha cerner mi par forte,
  perché predestinata fosti sola
  a questo officio tra le tue consorte».
  Né venni prima a lultima parola,
  che del suo mezzo fece il lume centro,
  girando sé come veloce mola;
  poi rispuose lamor che vera dentro:
  «Luce divina sopra me sappunta,
  penetrando per questa in chio minventro,
  la cui virtù, col mio veder congiunta,
  mi leva sopra me tanto, chi veggio
  la somma essenza de la quale è munta.
  Quinci vien lallegrezza ond io fiammeggio;
  per cha la vista mia, quant ella è chiara,
  la chiarità de la fiamma pareggio.
  Ma quell alma nel ciel che più si schiara,
  quel serafin che n Dio più locchio ha fisso,
  a la dimanda tua non satisfara,
  però che sì sinnoltra ne lo abisso
  de letterno statuto quel che chiedi,
  che da ogne creata vista è scisso.
  E al mondo mortal, quando tu riedi,
  questo rapporta, sì che non presumma
  a tanto segno più mover li piedi.
  La mente, che qui luce, in terra fumma;
  onde riguarda come può là giùe
  quel che non pote perché l ciel lassumma».
  Sì mi prescrisser le parole sue,
  chio lasciai la quistione e mi ritrassi
  a dimandarla umilmente chi fue.
  «Tra  due liti dItalia surgon sassi,
  e non molto distanti a la tua patria,
  tanto che  troni assai suonan più bassi,
  e fanno un gibbo che si chiama Catria,
  di sotto al quale è consecrato un ermo,
  che suole esser disposto a sola latria».
  Così ricominciommi il terzo sermo;
  e poi, continüando, disse: «Quivi
  al servigio di Dio mi fe sì fermo,
  che pur con cibi di liquor dulivi
  lievemente passava caldi e geli,
  contento ne pensier contemplativi.
  Render solea quel chiostro a questi cieli
  fertilemente; e ora è fatto vano,
  sì che tosto convien che si riveli.
  In quel loco fu io Pietro Damiano,
  e Pietro Peccator fu ne la casa
  di Nostra Donna in sul lito adriano.
  Poca vita mortal mera rimasa,
  quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
  che pur di male in peggio si travasa.
  Venne Cefàs e venne il gran vasello
  de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
  prendendo il cibo da qualunque ostello.
  Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
  li moderni pastori e chi li meni,
  tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
  Cuopron di manti loro i palafreni,
  sì che due bestie van sott una pelle:
  oh pazïenza che tanto sostieni!».
  A questa voce vid io più fiammelle
  di grado in grado scendere e girarsi,
  e ogne giro le facea più belle.
  Dintorno a questa vennero e fermarsi,
  e fero un grido di sì alto suono,
  che non potrebbe qui assomigliarsi;
  né io lo ntesi, sì mi vinse il tuono.
  Oppresso di stupore, a la mia guida
  mi volsi, come parvol che ricorre
  sempre colà dove più si confida;
  e quella, come madre che soccorre
  sùbito al figlio palido e anelo
  con la sua voce, che l suol ben disporre,
  mi disse: «Non sai tu che tu se in cielo?
  e non sai tu che l cielo è tutto santo,
  e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
  Come tavrebbe trasmutato il canto,
  e io ridendo, mo pensar lo puoi,
  poscia che l grido tha mosso cotanto;
  nel qual, se nteso avessi i prieghi suoi,
  già ti sarebbe nota la vendetta
  che tu vedrai innanzi che tu muoi.
  La spada di qua sù non taglia in fretta
  né tardo, ma chal parer di colui
  che disïando o temendo laspetta.
  Ma rivolgiti omai inverso altrui;
  chassai illustri spiriti vedrai,
  se com io dico laspetto redui».
  Come a lei piacque, li occhi ritornai,
  e vidi cento sperule che nsieme
  più sabbellivan con mutüi rai.
  Io stava come quei che n sé repreme
  la punta del disio, e non sattenta
  di domandar, sì del troppo si teme;
  e la maggiore e la più luculenta
  di quelle margherite innanzi fessi,
  per far di sé la mia voglia contenta.
  Poi dentro a lei udi: «Se tu vedessi
  com io la carità che tra noi arde,
  li tuoi concetti sarebbero espressi.
  Ma perché tu, aspettando, non tarde
  a lalto fine, io ti farò risposta
  pur al pensier, da che sì ti riguarde.
  Quel monte a cui Cassino è ne la costa
  fu frequentato già in su la cima
  da la gente ingannata e mal disposta;
  e quel son io che sù vi portai prima
  lo nome di colui che n terra addusse
  la verità che tanto ci soblima;
  e tanta grazia sopra me relusse,
  chio ritrassi le ville circunstanti
  da lempio cólto che l mondo sedusse.
  Questi altri fuochi tutti contemplanti
  uomini fuoro, accesi di quel caldo
  che fa nascere i fiori e  frutti santi.
  Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
  qui son li frati miei che dentro ai chiostri
  fermar li piedi e tennero il cor saldo».
  E io a lui: «Laffetto che dimostri
  meco parlando, e la buona sembianza
  chio veggio e noto in tutti li ardor vostri,
  così mha dilatata mia fidanza,
  come l sol fa la rosa quando aperta
  tanto divien quant ell ha di possanza.
  Però ti priego, e tu, padre, maccerta
  sio posso prender tanta grazia, chio
  ti veggia con imagine scoverta».
  Ond elli: «Frate, il tuo alto disio
  sadempierà in su lultima spera,
  ove sadempion tutti li altri e l mio.
  Ivi è perfetta, matura e intera
  ciascuna disïanza; in quella sola
  è ogne parte là ove sempr era,
  perché non è in loco e non simpola;
  e nostra scala infino ad essa varca,
  onde così dal viso ti sinvola.
  Infin là sù la vide il patriarca
  Iacobbe porger la superna parte,
  quando li apparve dangeli sì carca.
  Ma, per salirla, mo nessun diparte
  da terra i piedi, e la regola mia
  rimasa è per danno de le carte.
  Le mura che solieno esser badia
  fatte sono spelonche, e le cocolle
  sacca son piene di farina ria.
  Ma grave usura tanto non si tolle
  contra l piacer di Dio, quanto quel frutto
  che fa il cor de monaci sì folle;
  ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
  è de la gente che per Dio dimanda;
  non di parenti né daltro più brutto.
  La carne di mortali è tanto blanda,
  che giù non basta buon cominciamento
  dal nascer de la quercia al far la ghianda.
  Pier cominciò sanz oro e sanz argento,
  e io con orazione e con digiuno,
  e Francesco umilmente il suo convento;
  e se guardi l principio di ciascuno,
  poscia riguardi là dov è trascorso,
  tu vederai del bianco fatto bruno.
  Veramente Iordan vòlto retrorso
  più fu, e l mar fuggir, quando Dio volse,
  mirabile a veder che qui l soccorso».
  Così mi disse, e indi si raccolse
  al suo collegio, e l collegio si strinse;
  poi, come turbo, in sù tutto savvolse.
  La dolce donna dietro a lor mi pinse
  con un sol cenno su per quella scala,
  sì sua virtù la mia natura vinse;
  né mai qua giù dove si monta e cala
  naturalmente, fu sì ratto moto
  chagguagliar si potesse a la mia ala.
  Sio torni mai, lettore, a quel divoto
  trïunfo per lo quale io piango spesso
  le mie peccata e l petto mi percuoto,
  tu non avresti in tanto tratto e messo
  nel foco il dito, in quant io vidi l segno
  che segue il Tauro e fui dentro da esso.
  O glorïose stelle, o lume pregno
  di gran virtù, dal quale io riconosco
  tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
  con voi nasceva e sascondeva vosco
  quelli chè padre dogne mortal vita,
  quand io senti di prima laere tosco;
  e poi, quando mi fu grazia largita
  dentrar ne lalta rota che vi gira,
  la vostra regïon mi fu sortita.
  A voi divotamente ora sospira
  lanima mia, per acquistar virtute
  al passo forte che a sé la tira.
  «Tu se sì presso a lultima salute»,
  cominciò Bëatrice, «che tu dei
  aver le luci tue chiare e acute;
  e però, prima che tu più tinlei,
  rimira in giù, e vedi quanto mondo
  sotto li piedi già esser ti fei;
  sì che l tuo cor, quantunque può, giocondo
  sappresenti a la turba trïunfante
  che lieta vien per questo etera tondo».
  Col viso ritornai per tutte quante
  le sette spere, e vidi questo globo
  tal, chio sorrisi del suo vil sembiante;
  e quel consiglio per migliore approbo
  che lha per meno; e chi ad altro pensa
  chiamar si puote veramente probo.
  Vidi la figlia di Latona incensa
  sanza quell ombra che mi fu cagione
  per che già la credetti rara e densa.
  Laspetto del tuo nato, Iperïone,
  quivi sostenni, e vidi com si move
  circa e vicino a lui Maia e Dïone.
  Quindi mapparve il temperar di Giove
  tra l padre e l figlio; e quindi mi fu chiaro
  il varïar che fanno di lor dove;
  e tutti e sette mi si dimostraro
  quanto son grandi e quanto son veloci
  e come sono in distante riparo.
  Laiuola che ci fa tanto feroci,
  volgendom io con li etterni Gemelli,
  tutta mapparve da colli a le foci;
  poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
  Come laugello, intra lamate fronde,
  posato al nido de suoi dolci nati
  la notte che le cose ci nasconde,
  che, per veder li aspetti disïati
  e per trovar lo cibo onde li pasca,
  in che gravi labor li sono aggrati,
  previene il tempo in su aperta frasca,
  e con ardente affetto il sole aspetta,
  fiso guardando pur che lalba nasca;
  così la donna mïa stava eretta
  e attenta, rivolta inver la plaga
  sotto la quale il sol mostra men fretta:
  sì che, veggendola io sospesa e vaga,
  fecimi qual è quei che disïando
  altro vorria, e sperando sappaga.
  Ma poco fu tra uno e altro quando,
  del mio attender, dico, e del vedere
  lo ciel venir più e più rischiarando;
  e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
  del trïunfo di Cristo e tutto l frutto
  ricolto del girar di queste spere!».
  Pariemi che l suo viso ardesse tutto,
  e li occhi avea di letizia sì pieni,
  che passarmen convien sanza costrutto.
  Quale ne plenilunïi sereni
  Trivïa ride tra le ninfe etterne
  che dipingon lo ciel per tutti i seni,
  vid i sopra migliaia di lucerne
  un sol che tutte quante laccendea,
  come fa l nostro le viste superne;
  e per la viva luce trasparea
  la lucente sustanza tanto chiara
  nel viso mio, che non la sostenea.
  Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
  Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
  è virtù da cui nulla si ripara.
  Quivi è la sapïenza e la possanza
  chaprì le strade tra l cielo e la terra,
  onde fu già sì lunga disïanza».
  Come foco di nube si diserra
  per dilatarsi sì che non vi cape,
  e fuor di sua natura in giù satterra,
  la mente mia così, tra quelle dape
  fatta più grande, di sé stessa uscìo,
  e che si fesse rimembrar non sape.
  «Apri li occhi e riguarda qual son io;
  tu hai vedute cose, che possente
  se fatto a sostener lo riso mio».
  Io era come quei che si risente
  di visïone oblita e che singegna
  indarno di ridurlasi a la mente,
  quand io udi questa proferta, degna
  di tanto grato, che mai non si stingue
  del libro che l preterito rassegna.
  Se mo sonasser tutte quelle lingue
  che Polimnïa con le suore fero
  del latte lor dolcissimo più pingue,
  per aiutarmi, al millesmo del vero
  non si verria, cantando il santo riso
  e quanto il santo aspetto facea mero;
  e così, figurando il paradiso,
  convien saltar lo sacrato poema,
  come chi trova suo cammin riciso.
  Ma chi pensasse il ponderoso tema
  e lomero mortal che se ne carca,
  nol biasmerebbe se sott esso trema:
  non è pareggio da picciola barca
  quel che fendendo va lardita prora,
  né da nocchier cha sé medesmo parca.
  «Perché la faccia mia sì tinnamora,
  che tu non ti rivolgi al bel giardino
  che sotto i raggi di Cristo sinfiora?
  Quivi è la rosa in che l verbo divino
  carne si fece; quivi son li gigli
  al cui odor si prese il buon cammino».
  Così Beatrice; e io, che a suoi consigli
  tutto era pronto, ancora mi rendei
  a la battaglia de debili cigli.
  Come a raggio di sol, che puro mei
  per fratta nube, già prato di fiori
  vider, coverti dombra, li occhi miei;
  vid io così più turbe di splendori,
  folgorate di sù da raggi ardenti,
  sanza veder principio di folgóri.
  O benigna vertù che sì li mprenti,
  sù tessaltasti, per largirmi loco
  a li occhi lì che non teran possenti.
  Il nome del bel fior chio sempre invoco
  e mane e sera, tutto mi ristrinse
  lanimo ad avvisar lo maggior foco;
  e come ambo le luci mi dipinse
  il quale e il quanto de la viva stella
  che là sù vince come qua giù vinse,
  per entro il cielo scese una facella,
  formata in cerchio a guisa di corona,
  e cinsela e girossi intorno ad ella.
  Qualunque melodia più dolce suona
  qua giù e più a sé lanima tira,
  parrebbe nube che squarciata tona,
  comparata al sonar di quella lira
  onde si coronava il bel zaffiro
  del quale il ciel più chiaro sinzaffira.
  «Io sono amore angelico, che giro
  lalta letizia che spira del ventre
  che fu albergo del nostro disiro;
  e girerommi, donna del ciel, mentre
  che seguirai tuo figlio, e farai dia
  più la spera suprema perché lì entre».
  Così la circulata melodia
  si sigillava, e tutti li altri lumi
  facean sonare il nome di Maria.
  Lo real manto di tutti i volumi
  del mondo, che più ferve e più savviva
  ne lalito di Dio e nei costumi,
  avea sopra di noi linterna riva
  tanto distante, che la sua parvenza,
  là dov io era, ancor non appariva:
  però non ebber li occhi miei potenza
  di seguitar la coronata fiamma
  che si levò appresso sua semenza.
  E come fantolin che nver la mamma
  tende le braccia, poi che l latte prese,
  per lanimo che nfin di fuor sinfiamma;
  ciascun di quei candori in sù si stese
  con la sua cima, sì che lalto affetto
  chelli avieno a Maria mi fu palese.
  Indi rimaser lì nel mio cospetto,
  Regina celi cantando sì dolce,
  che mai da me non si partì l diletto.
  Oh quanta è lubertà che si soffolce
  in quelle arche ricchissime che fuoro
  a seminar qua giù buone bobolce!
  Quivi si vive e gode del tesoro
  che sacquistò piangendo ne lo essilio
  di Babillòn, ove si lasciò loro.
  Quivi trïunfa, sotto lalto Filio
  di Dio e di Maria, di sua vittoria,
  e con lantico e col novo concilio,
  colui che tien le chiavi di tal gloria.
  «O sodalizio eletto a la gran cena
  del benedetto Agnello, il qual vi ciba
  sì, che la vostra voglia è sempre piena,
  se per grazia di Dio questi preliba
  di quel che cade de la vostra mensa,
  prima che morte tempo li prescriba,
  ponete mente a laffezione immensa
  e roratelo alquanto: voi bevete
  sempre del fonte onde vien quel chei pensa».
  Così Beatrice; e quelle anime liete
  si fero spere sopra fissi poli,
  fiammando, a volte, a guisa di comete.
  E come cerchi in tempra dorïuoli
  si giran sì, che l primo a chi pon mente
  quïeto pare, e lultimo che voli;
  così quelle carole, differente-
  mente danzando, de la sua ricchezza
  mi facieno stimar, veloci e lente.
  Di quella chio notai di più carezza
  vid ïo uscire un foco sì felice,
  che nullo vi lasciò di più chiarezza;
  e tre fïate intorno di Beatrice
  si volse con un canto tanto divo,
  che la mia fantasia nol mi ridice.
  Però salta la penna e non lo scrivo:
  ché limagine nostra a cotai pieghe,
  non che l parlare, è troppo color vivo.
  «O santa suora mia che sì ne prieghe
  divota, per lo tuo ardente affetto
  da quella bella spera mi disleghe».
  Poscia fermato, il foco benedetto
  a la mia donna dirizzò lo spiro,
  che favellò così com i ho detto.
  Ed ella: «O luce etterna del gran viro
  a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
  chei portò giù, di questo gaudio miro,
  tenta costui di punti lievi e gravi,
  come ti piace, intorno de la fede,
  per la qual tu su per lo mare andavi.
  Selli ama bene e bene spera e crede,
  non tè occulto, perché l viso hai quivi
  dov ogne cosa dipinta si vede;
  ma perché questo regno ha fatto civi
  per la verace fede, a glorïarla,
  di lei parlare è ben cha lui arrivi».
  Sì come il baccialier sarma e non parla
  fin che l maestro la question propone,
  per approvarla, non per terminarla,
  così marmava io dogne ragione
  mentre chella dicea, per esser presto
  a tal querente e a tal professione.
  «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
  fede che è?». Ond io levai la fronte
  in quella luce onde spirava questo;
  poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
  sembianze femmi perch ïo spandessi
  lacqua di fuor del mio interno fonte.
  «La Grazia che mi dà chio mi confessi»,
  comincia io, «da lalto primipilo,
  faccia li miei concetti bene espressi».
  E seguitai: «Come l verace stilo
  ne scrisse, padre, del tuo caro frate
  che mise teco Roma nel buon filo,
  fede è sustanza di cose sperate
  e argomento de le non parventi;
  e questa pare a me sua quiditate».
  Allora udi: «Dirittamente senti,
  se bene intendi perché la ripuose
  tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
  E io appresso: «Le profonde cose
  che mi largiscon qui la lor parvenza,
  a li occhi di là giù son sì ascose,
  che lesser loro vè in sola credenza,
  sopra la qual si fonda lalta spene;
  e però di sustanza prende intenza.
  E da questa credenza ci convene
  silogizzar, sanz avere altra vista:
  però intenza dargomento tene».
  Allora udi: «Se quantunque sacquista
  giù per dottrina, fosse così nteso,
  non lì avria loco ingegno di sofista».
  Così spirò di quello amore acceso;
  indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
  desta moneta già la lega e l peso;
  ma dimmi se tu lhai ne la tua borsa».
  Ond io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
  che nel suo conio nulla mi sinforsa».
  Appresso uscì de la luce profonda
  che lì splendeva: «Questa cara gioia
  sopra la quale ogne virtù si fonda,
  onde ti venne?». E io: «La larga ploia
  de lo Spirito Santo, chè diffusa
  in su le vecchie e n su le nuove cuoia,
  è silogismo che la mha conchiusa
  acutamente sì, che nverso della
  ogne dimostrazion mi pare ottusa».
  Io udi poi: «Lantica e la novella
  proposizion che così ti conchiude,
  perché lhai tu per divina favella?».
  E io: «La prova che l ver mi dischiude,
  son lopere seguite, a che natura
  non scalda ferro mai né batte incude».
  Risposto fummi: «Dì, chi tassicura
  che quell opere fosser? Quel medesmo
  che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
  «Se l mondo si rivolse al cristianesmo»,
  diss io, «sanza miracoli, quest uno
  è tal, che li altri non sono il centesmo:
  ché tu intrasti povero e digiuno
  in campo, a seminar la buona pianta
  che fu già vite e ora è fatta pruno».
  Finito questo, lalta corte santa
  risonò per le spere un Dio laudamo
  ne la melode che là sù si canta.
  E quel baron che sì di ramo in ramo,
  essaminando, già tratto mavea,
  che a lultime fronde appressavamo,
  ricominciò: «La Grazia, che donnea
  con la tua mente, la bocca taperse
  infino a qui come aprir si dovea,
  sì chio approvo ciò che fuori emerse;
  ma or convien espremer quel che credi,
  e onde a la credenza tua sofferse».
  «O santo padre, e spirito che vedi
  ciò che credesti sì, che tu vincesti
  ver lo sepulcro più giovani piedi»,
  comincia io, «tu vuo chio manifesti
  la forma qui del pronto creder mio,
  e anche la cagion di lui chiedesti.
  E io rispondo: Io credo in uno Dio
  solo ed etterno, che tutto l ciel move,
  non moto, con amore e con disio;
  e a tal creder non ho io pur prove
  fisice e metafisice, ma dalmi
  anche la verità che quinci piove
  per Moïsè, per profeti e per salmi,
  per lEvangelio e per voi che scriveste
  poi che lardente Spirto vi fé almi;
  e credo in tre persone etterne, e queste
  credo una essenza sì una e sì trina,
  che soffera congiunto sono ed este.
  De la profonda condizion divina
  chio tocco mo, la mente mi sigilla
  più volte levangelica dottrina.
  Quest è l principio, quest è la favilla
  che si dilata in fiamma poi vivace,
  e come stella in cielo in me scintilla».
  Come l segnor chascolta quel che i piace,
  da indi abbraccia il servo, gratulando
  per la novella, tosto chel si tace;
  così, benedicendomi cantando,
  tre volte cinse me, sì com io tacqui,
  lappostolico lume al cui comando
  io avea detto: sì nel dir li piacqui!
  Se mai continga che l poema sacro
  al quale ha posto mano e cielo e terra,
  sì che mha fatto per molti anni macro,
  vinca la crudeltà che fuor mi serra
  del bello ovile ov io dormi agnello,
  nimico ai lupi che li danno guerra;
  con altra voce omai, con altro vello
  ritornerò poeta, e in sul fonte
  del mio battesmo prenderò l cappello;
  però che ne la fede, che fa conte
  lanime a Dio, quivi intra io, e poi
  Pietro per lei sì mi girò la fronte.
  Indi si mosse un lume verso noi
  di quella spera ond uscì la primizia
  che lasciò Cristo di vicari suoi;
  e la mia donna, piena di letizia,
  mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
  per cui là giù si vicita Galizia».
  Sì come quando il colombo si pone
  presso al compagno, luno a laltro pande,
  girando e mormorando, laffezione;
  così vid ïo lun da laltro grande
  principe glorïoso essere accolto,
  laudando il cibo che là sù li prande.
  Ma poi che l gratular si fu assolto,
  tacito coram me ciascun saffisse,
  ignito sì che vincëa l mio volto.
  Ridendo allora Bëatrice disse:
  «Inclita vita per cui la larghezza
  de la nostra basilica si scrisse,
  fa risonar la spene in questa altezza:
  tu sai, che tante fiate la figuri,
  quante Iesù ai tre fé più carezza».
  «Leva la testa e fa che tassicuri:
  che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
  convien chai nostri raggi si maturi».
  Questo conforto del foco secondo
  mi venne; ond io leväi li occhi a monti
  che li ncurvaron pria col troppo pondo.
  «Poi che per grazia vuol che tu taffronti
  lo nostro Imperadore, anzi la morte,
  ne laula più secreta co suoi conti,
  sì che, veduto il ver di questa corte,
  la spene, che là giù bene innamora,
  in te e in altrui di ciò conforte,
  di quel chell è, di come se ne nfiora
  la mente tua, e dì onde a te venne».
  Così seguì l secondo lume ancora.
  E quella pïa che guidò le penne
  de le mie ali a così alto volo,
  a la risposta così mi prevenne:
  «La Chiesa militante alcun figliuolo
  non ha con più speranza, com è scritto
  nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
  però li è conceduto che dEgitto
  vegna in Ierusalemme per vedere,
  anzi che l militar li sia prescritto.
  Li altri due punti, che non per sapere
  son dimandati, ma perch ei rapporti
  quanto questa virtù tè in piacere,
  a lui lasc io, ché non li saran forti
  né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
  e la grazia di Dio ciò li comporti».
  Come discente cha dottor seconda
  pronto e libente in quel chelli è esperto,
  perché la sua bontà si disasconda,
  «Spene», diss io, «è uno attender certo
  de la gloria futura, il qual produce
  grazia divina e precedente merto.
  Da molte stelle mi vien questa luce;
  ma quei la distillò nel mio cor pria
  che fu sommo cantor del sommo duce.
  Sperino in te, ne la sua tëodia
  dice, color che sanno il nome tuo:
  e chi nol sa, selli ha la fede mia?
  Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
  ne la pistola poi; sì chio son pieno,
  e in altrui vostra pioggia repluo».
  Mentr io diceva, dentro al vivo seno
  di quello incendio tremolava un lampo
  sùbito e spesso a guisa di baleno.
  Indi spirò: «Lamore ond ïo avvampo
  ancor ver la virtù che mi seguette
  infin la palma e a luscir del campo,
  vuol chio respiri a te che ti dilette
  di lei; ed emmi a grato che tu diche
  quello che la speranza ti mpromette».
  E io: «Le nove e le scritture antiche
  pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
  de lanime che Dio sha fatte amiche.
  Dice Isaia che ciascuna vestita
  ne la sua terra fia di doppia vesta:
  e la sua terra è questa dolce vita;
  e l tuo fratello assai vie più digesta,
  là dove tratta de le bianche stole,
  questa revelazion ci manifesta».
  E prima, appresso al fin deste parole,
  Sperent in te di sopr a noi sudì;
  a che rispuoser tutte le carole.
  Poscia tra esse un lume si schiarì
  sì che, se l Cancro avesse un tal cristallo,
  linverno avrebbe un mese dun sol dì.
  E come surge e va ed entra in ballo
  vergine lieta, sol per fare onore
  a la novizia, non per alcun fallo,
  così vid io lo schiarato splendore
  venire a due che si volgieno a nota
  qual conveniesi al loro ardente amore.
  Misesi lì nel canto e ne la rota;
  e la mia donna in lor tenea laspetto,
  pur come sposa tacita e immota.
  «Questi è colui che giacque sopra l petto
  del nostro pellicano, e questi fue
  di su la croce al grande officio eletto».
  La donna mia così; né però piùe
  mosser la vista sua di stare attenta
  poscia che prima le parole sue.
  Qual è colui chadocchia e sargomenta
  di vedere eclissar lo sole un poco,
  che, per veder, non vedente diventa;
  tal mi fec ïo a quell ultimo foco
  mentre che detto fu: «Perché tabbagli
  per veder cosa che qui non ha loco?
  In terra è terra il mio corpo, e saragli
  tanto con li altri, che l numero nostro
  con letterno proposito sagguagli.
  Con le due stole nel beato chiostro
  son le due luci sole che saliro;
  e questo apporterai nel mondo vostro».
  A questa voce linfiammato giro
  si quïetò con esso il dolce mischio
  che si facea nel suon del trino spiro,
  sì come, per cessar fatica o rischio,
  li remi, pria ne lacqua ripercossi,
  tutti si posano al sonar dun fischio.
  Ahi quanto ne la mente mi commossi,
  quando mi volsi per veder Beatrice,
  per non poter veder, benché io fossi
  presso di lei, e nel mondo felice!
  Mentr io dubbiava per lo viso spento,
  de la fulgida fiamma che lo spense
  uscì un spiro che mi fece attento,
  dicendo: «Intanto che tu ti risense
  de la vista che haï in me consunta,
  ben è che ragionando la compense.
  Comincia dunque; e dì ove sappunta
  lanima tua, e fa ragion che sia
  la vista in te smarrita e non defunta:
  perché la donna che per questa dia
  regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
  la virtù chebbe la man dAnania».
  Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
  vegna remedio a li occhi, che fuor porte
  quand ella entrò col foco ond io sempr ardo.
  Lo ben che fa contenta questa corte,
  Alfa e O è di quanta scrittura
  mi legge Amore o lievemente o forte».
  Quella medesma voce che paura
  tolta mavea del sùbito abbarbaglio,
  di ragionare ancor mi mise in cura;
  e disse: «Certo a più angusto vaglio
  ti conviene schiarar: dicer convienti
  chi drizzò larco tuo a tal berzaglio».
  E io: «Per filosofici argomenti
  e per autorità che quinci scende
  cotale amor convien che in me si mprenti:
  ché l bene, in quanto ben, come sintende,
  così accende amore, e tanto maggio
  quanto più di bontate in sé comprende.
  Dunque a lessenza ov è tanto avvantaggio,
  che ciascun ben che fuor di lei si trova
  altro non è chun lume di suo raggio,
  più che in altra convien che si mova
  la mente, amando, di ciascun che cerne
  il vero in che si fonda questa prova.
  Tal vero a lintelletto mïo sterne
  colui che mi dimostra il primo amore
  di tutte le sustanze sempiterne.
  Sternel la voce del verace autore,
  che dice a Moïsè, di sé parlando:
  Io ti farò vedere ogne valore.
  Sternilmi tu ancora, incominciando
  lalto preconio che grida larcano
  di qui là giù sovra ogne altro bando».
  E io udi: «Per intelletto umano
  e per autoritadi a lui concorde
  di tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
  Ma dì ancor se tu senti altre corde
  tirarti verso lui, sì che tu suone
  con quanti denti questo amor ti morde».
  Non fu latente la santa intenzione
  de laguglia di Cristo, anzi maccorsi
  dove volea menar mia professione.
  Però ricominciai: «Tutti quei morsi
  che posson far lo cor volgere a Dio,
  a la mia caritate son concorsi:
  ché lessere del mondo e lesser mio,
  la morte chel sostenne perch io viva,
  e quel che spera ogne fedel com io,
  con la predetta conoscenza viva,
  tratto mhanno del mar de lamor torto,
  e del diritto mhan posto a la riva.
  Le fronde onde sinfronda tutto lorto
  de lortolano etterno, am io cotanto
  quanto da lui a lor di bene è porto».
  Sì com io tacqui, un dolcissimo canto
  risonò per lo cielo, e la mia donna
  dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».
  E come a lume acuto si disonna
  per lo spirto visivo che ricorre
  a lo splendor che va di gonna in gonna,
  e lo svegliato ciò che vede aborre,
  sì nescïa è la sùbita vigilia
  fin che la stimativa non soccorre;
  così de li occhi miei ogne quisquilia
  fugò Beatrice col raggio di suoi,
  che rifulgea da più di mille milia:
  onde mei che dinanzi vidi poi;
  e quasi stupefatto domandai
  dun quarto lume chio vidi tra noi.
  E la mia donna: «Dentro da quei rai
  vagheggia il suo fattor lanima prima
  che la prima virtù creasse mai».
  Come la fronda che flette la cima
  nel transito del vento, e poi si leva
  per la propria virtù che la soblima,
  fec io in tanto in quant ella diceva,
  stupendo, e poi mi rifece sicuro
  un disio di parlare ond ïo ardeva.
  E cominciai: «O pomo che maturo
  solo prodotto fosti, o padre antico
  a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
  divoto quanto posso a te supplìco
  perché mi parli: tu vedi mia voglia,
  e per udirti tosto non la dico».
  Talvolta un animal coverto broglia,
  sì che laffetto convien che si paia
  per lo seguir che face a lui la nvoglia;
  e similmente lanima primaia
  mi facea trasparer per la coverta
  quant ella a compiacermi venìa gaia.
  Indi spirò: «Sanz essermi proferta
  da te, la voglia tua discerno meglio
  che tu qualunque cosa tè più certa;
  perch io la veggio nel verace speglio
  che fa di sé pareglio a laltre cose,
  e nulla face lui di sé pareglio.
  Tu vuogli udir quant è che Dio mi puose
  ne leccelso giardino, ove costei
  a così lunga scala ti dispuose,
  e quanto fu diletto a li occhi miei,
  e la propria cagion del gran disdegno,
  e lidïoma chusai e che fei.
  Or, figluol mio, non il gustar del legno
  fu per sé la cagion di tanto essilio,
  ma solamente il trapassar del segno.
  Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
  quattromilia trecento e due volumi
  di sol desiderai questo concilio;
  e vidi lui tornare a tutt i lumi
  de la sua strada novecento trenta
  fïate, mentre chïo in terra fumi.
  La lingua chio parlai fu tutta spenta
  innanzi che a lovra inconsummabile
  fosse la gente di Nembròt attenta:
  ché nullo effetto mai razïonabile,
  per lo piacere uman che rinovella
  seguendo il cielo, sempre fu durabile.
  Opera naturale è chuom favella;
  ma così o così, natura lascia
  poi fare a voi secondo che vabbella.
  Pria chi scendessi a linfernale ambascia,
  I sappellava in terra il sommo bene
  onde vien la letizia che mi fascia;
  e El si chiamò poi: e ciò convene,
  ché luso di mortali è come fronda
  in ramo, che sen va e altra vene.
  Nel monte che si leva più da londa,
  fu io, con vita pura e disonesta,
  da la prim ora a quella che seconda,
  come l sol muta quadra, lora sesta».
  Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo,
  cominciò, gloria!, tutto l paradiso,
  sì che minebrïava il dolce canto.
  Ciò chio vedeva mi sembiava un riso
  de luniverso; per che mia ebbrezza
  intrava per ludire e per lo viso.
  Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
  oh vita intègra damore e di pace!
  oh sanza brama sicura ricchezza!
  Dinanzi a li occhi miei le quattro face
  stavano accese, e quella che pria venne
  incominciò a farsi più vivace,
  e tal ne la sembianza sua divenne,
  qual diverrebbe Iove, selli e Marte
  fossero augelli e cambiassersi penne.
  La provedenza, che quivi comparte
  vice e officio, nel beato coro
  silenzio posto avea da ogne parte,
  quand ïo udi: «Se io mi trascoloro,
  non ti maravigliar, ché, dicend io,
  vedrai trascolorar tutti costoro.
  Quelli chusurpa in terra il luogo mio,
  il luogo mio, il luogo mio, che vaca
  ne la presenza del Figliuol di Dio,
  fatt ha del cimitero mio cloaca
  del sangue e de la puzza; onde l perverso
  che cadde di qua sù, là giù si placa».
  Di quel color che per lo sole avverso
  nube dipigne da sera e da mane,
  vid ïo allora tutto l ciel cosperso.
  E come donna onesta che permane
  di sé sicura, e per laltrui fallanza,
  pur ascoltando, timida si fane,
  così Beatrice trasmutò sembianza;
  e tale eclissi credo che n ciel fue
  quando patì la supprema possanza.
  Poi procedetter le parole sue
  con voce tanto da sé trasmutata,
  che la sembianza non si mutò piùe:
  «Non fu la sposa di Cristo allevata
  del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
  per essere ad acquisto doro usata;
  ma per acquisto desto viver lieto
  e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
  sparser lo sangue dopo molto fleto.
  Non fu nostra intenzion cha destra mano
  di nostri successor parte sedesse,
  parte da laltra del popol cristiano;
  né che le chiavi che mi fuor concesse,
  divenisser signaculo in vessillo
  che contra battezzati combattesse;
  né chio fossi figura di sigillo
  a privilegi venduti e mendaci,
  ond io sovente arrosso e disfavillo.
  In vesta di pastor lupi rapaci
  si veggion di qua sù per tutti i paschi:
  o difesa di Dio, perché pur giaci?
  Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
  sapparecchian di bere: o buon principio,
  a che vil fine convien che tu caschi!
  Ma lalta provedenza, che con Scipio
  difese a Roma la gloria del mondo,
  soccorrà tosto, sì com io concipio;
  e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
  ancor giù tornerai, apri la bocca,
  e non asconder quel chio non ascondo».
  Sì come di vapor gelati fiocca
  in giuso laere nostro, quando l corno
  de la capra del ciel col sol si tocca,
  in sù vid io così letera addorno
  farsi e fioccar di vapor trïunfanti
  che fatto avien con noi quivi soggiorno.
  Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
  e seguì fin che l mezzo, per lo molto,
  li tolse il trapassar del più avanti.
  Onde la donna, che mi vide assolto
  de lattendere in sù, mi disse: «Adima
  il viso e guarda come tu se vòlto».
  Da lora chïo avea guardato prima
  i vidi mosso me per tutto larco
  che fa dal mezzo al fine il primo clima;
  sì chio vedea di là da Gade il varco
  folle dUlisse, e di qua presso il lito
  nel qual si fece Europa dolce carco.
  E più mi fora discoverto il sito
  di questa aiuola; ma l sol procedea
  sotto i mie piedi un segno e più partito.
  La mente innamorata, che donnea
  con la mia donna sempre, di ridure
  ad essa li occhi più che mai ardea;
  e se natura o arte fé pasture
  da pigliare occhi, per aver la mente,
  in carne umana o ne le sue pitture,
  tutte adunate, parrebber nïente
  ver lo piacer divin che mi refulse,
  quando mi volsi al suo viso ridente.
  E la virtù che lo sguardo mindulse,
  del bel nido di Leda mi divelse,
  e nel ciel velocissimo mimpulse.
  Le parti sue vivissime ed eccelse
  sì uniforme son, chi non so dire
  qual Bëatrice per loco mi scelse.
  Ma ella, che vedëa l mio disire,
  incominciò, ridendo tanto lieta,
  che Dio parea nel suo volto gioire:
  «La natura del mondo, che quïeta
  il mezzo e tutto laltro intorno move,
  quinci comincia come da sua meta;
  e questo cielo non ha altro dove
  che la mente divina, in che saccende
  lamor che l volge e la virtù chei piove.
  Luce e amor dun cerchio lui comprende,
  sì come questo li altri; e quel precinto
  colui che l cinge solamente intende.
  Non è suo moto per altro distinto,
  ma li altri son mensurati da questo,
  sì come diece da mezzo e da quinto;
  e come il tempo tegna in cotal testo
  le sue radici e ne li altri le fronde,
  omai a te può esser manifesto.
  Oh cupidigia che i mortali affonde
  sì sotto te, che nessuno ha podere
  di trarre li occhi fuor de le tue onde!
  Ben fiorisce ne li uomini il volere;
  ma la pioggia continüa converte
  in bozzacchioni le sosine vere.
  Fede e innocenza son reperte
  solo ne parvoletti; poi ciascuna
  pria fugge che le guance sian coperte.
  Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
  che poi divora, con la lingua sciolta,
  qualunque cibo per qualunque luna;
  e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
  la madre sua, che, con loquela intera,
  disïa poi di vederla sepolta.
  Così si fa la pelle bianca nera
  nel primo aspetto de la bella figlia
  di quel chapporta mane e lascia sera.
  Tu, perché non ti facci maraviglia,
  pensa che n terra non è chi governi;
  onde sì svïa lumana famiglia.
  Ma prima che gennaio tutto si sverni
  per la centesma chè là giù negletta,
  raggeran sì questi cerchi superni,
  che la fortuna che tanto saspetta,
  le poppe volgerà u son le prore,
  sì che la classe correrà diretta;
  e vero frutto verrà dopo l fiore».
  Poscia che ncontro a la vita presente
  di miseri mortali aperse l vero
  quella che mparadisa la mia mente,
  come in lo specchio fiamma di doppiero
  vede colui che se nalluma retro,
  prima che labbia in vista o in pensiero,
  e sé rivolge per veder se l vetro
  li dice il vero, e vede chel saccorda
  con esso come nota con suo metro;
  così la mia memoria si ricorda
  chio feci riguardando ne belli occhi
  onde a pigliarmi fece Amor la corda.
  E com io mi rivolsi e furon tocchi
  li miei da ciò che pare in quel volume,
  quandunque nel suo giro ben sadocchi,
  un punto vidi che raggiava lume
  acuto sì, che l viso chelli affoca
  chiuder conviensi per lo forte acume;
  e quale stella par quinci più poca,
  parrebbe luna, locata con esso
  come stella con stella si collòca.
  Forse cotanto quanto pare appresso
  alo cigner la luce che l dipigne
  quando l vapor che l porta più è spesso,
  distante intorno al punto un cerchio digne
  si girava sì ratto, chavria vinto
  quel moto che più tosto il mondo cigne;
  e questo era dun altro circumcinto,
  e quel dal terzo, e l terzo poi dal quarto,
  dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
  Sopra seguiva il settimo sì sparto
  già di larghezza, che l messo di Iuno
  intero a contenerlo sarebbe arto.
  Così lottavo e l nono; e chiascheduno
  più tardo si movea, secondo chera
  in numero distante più da luno;
  e quello avea la fiamma più sincera
  cui men distava la favilla pura,
  credo, però che più di lei sinvera.
  La donna mia, che mi vedëa in cura
  forte sospeso, disse: «Da quel punto
  depende il cielo e tutta la natura.
  Mira quel cerchio che più li è congiunto;
  e sappi che l suo muovere è sì tosto
  per laffocato amore ond elli è punto».
  E io a lei: «Se l mondo fosse posto
  con lordine chio veggio in quelle rote,
  sazio mavrebbe ciò che mè proposto;
  ma nel mondo sensibile si puote
  veder le volte tanto più divine,
  quant elle son dal centro più remote.
  Onde, se l mio disir dee aver fine
  in questo miro e angelico templo
  che solo amore e luce ha per confine,
  udir convienmi ancor come lessemplo
  e lessemplare non vanno dun modo,
  ché io per me indarno a ciò contemplo».
  «Se li tuoi diti non sono a tal nodo
  sufficïenti, non è maraviglia:
  tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
  Così la donna mia; poi disse: «Piglia
  quel chio ti dicerò, se vuo saziarti;
  e intorno da esso tassottiglia.
  Li cerchi corporai sono ampi e arti
  secondo il più e l men de la virtute
  che si distende per tutte lor parti.
  Maggior bontà vuol far maggior salute;
  maggior salute maggior corpo cape,
  selli ha le parti igualmente compiute.
  Dunque costui che tutto quanto rape
  laltro universo seco, corrisponde
  al cerchio che più ama e che più sape:
  per che, se tu a la virtù circonde
  la tua misura, non a la parvenza
  de le sustanze che tappaion tonde,
  tu vederai mirabil consequenza
  di maggio a più e di minore a meno,
  in ciascun cielo, a süa intelligenza».
  Come rimane splendido e sereno
  lemisperio de laere, quando soffia
  Borea da quella guancia ond è più leno,
  per che si purga e risolve la roffia
  che pria turbava, sì che l ciel ne ride
  con le bellezze dogne sua paroffia;
  così fecïo, poi che mi provide
  la donna mia del suo risponder chiaro,
  e come stella in cielo il ver si vide.
  E poi che le parole sue restaro,
  non altrimenti ferro disfavilla
  che bolle, come i cerchi sfavillaro.
  Lincendio suo seguiva ogne scintilla;
  ed eran tante, che l numero loro
  più che l doppiar de li scacchi sinmilla.
  Io sentiva osannar di coro in coro
  al punto fisso che li tiene a li ubi,
  e terrà sempre, ne quai sempre fuoro.
  E quella che vedëa i pensier dubi
  ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
  thanno mostrato Serafi e Cherubi.
  Così veloci seguono i suoi vimi,
  per somigliarsi al punto quanto ponno;
  e posson quanto a veder son soblimi.
  Quelli altri amori che ntorno li vonno,
  si chiaman Troni del divino aspetto,
  per che l primo ternaro terminonno;
  e dei saper che tutti hanno diletto
  quanto la sua veduta si profonda
  nel vero in che si queta ogne intelletto.
  Quinci si può veder come si fonda
  lesser beato ne latto che vede,
  non in quel chama, che poscia seconda;
  e del vedere è misura mercede,
  che grazia partorisce e buona voglia:
  così di grado in grado si procede.
  Laltro ternaro, che così germoglia
  in questa primavera sempiterna
  che notturno Arïete non dispoglia,
  perpetüalemente Osanna sberna
  con tre melode, che suonano in tree
  ordini di letizia onde sinterna.
  In essa gerarcia son laltre dee:
  prima Dominazioni, e poi Virtudi;
  lordine terzo di Podestadi èe.
  Poscia ne due penultimi tripudi
  Principati e Arcangeli si girano;
  lultimo è tutto dAngelici ludi.
  Questi ordini di sù tutti sammirano,
  e di giù vincon sì, che verso Dio
  tutti tirati sono e tutti tirano.
  E Dïonisio con tanto disio
  a contemplar questi ordini si mise,
  che li nomò e distinse com io.
  Ma Gregorio da lui poi si divise;
  onde, sì tosto come li occhi aperse
  in questo ciel, di sé medesmo rise.
  E se tanto secreto ver proferse
  mortale in terra, non voglio chammiri:
  ché chi l vide qua sù gliel discoperse
  con altro assai del ver di questi giri».
  Quando ambedue li figli di Latona,
  coperti del Montone e de la Libra,
  fanno de lorizzonte insieme zona,
  quant è dal punto che l cenìt inlibra
  infin che luno e laltro da quel cinto,
  cambiando lemisperio, si dilibra,
  tanto, col volto di riso dipinto,
  si tacque Bëatrice, riguardando
  fiso nel punto che mavëa vinto.
  Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
  quel che tu vuoli udir, perch io lho visto
  là ve sappunta ogne ubi e ogne quando.
  Non per aver a sé di bene acquisto,
  chesser non può, ma perché suo splendore
  potesse, risplendendo, dir Subsisto,
  in sua etternità di tempo fore,
  fuor dogne altro comprender, come i piacque,
  saperse in nuovi amor letterno amore.
  Né prima quasi torpente si giacque;
  ché né prima né poscia procedette
  lo discorrer di Dio sovra quest acque.
  Forma e materia, congiunte e purette,
  usciro ad esser che non avia fallo,
  come darco tricordo tre saette.
  E come in vetro, in ambra o in cristallo
  raggio resplende sì, che dal venire
  a lesser tutto non è intervallo,
  così l triforme effetto del suo sire
  ne lesser suo raggiò insieme tutto
  sanza distinzïone in essordire.
  Concreato fu ordine e costrutto
  a le sustanze; e quelle furon cima
  nel mondo in che puro atto fu produtto;
  pura potenza tenne la parte ima;
  nel mezzo strinse potenza con atto
  tal vime, che già mai non si divima.
  Ieronimo vi scrisse lungo tratto
  di secoli de li angeli creati
  anzi che laltro mondo fosse fatto;
  ma questo vero è scritto in molti lati
  da li scrittor de lo Spirito Santo,
  e tu te navvedrai se bene agguati;
  e anche la ragione il vede alquanto,
  che non concederebbe che  motori
  sanza sua perfezion fosser cotanto.
  Or sai tu dove e quando questi amori
  furon creati e come: sì che spenti
  nel tuo disïo già son tre ardori.
  Né giugneriesi, numerando, al venti
  sì tosto, come de li angeli parte
  turbò il suggetto di vostri alimenti.
  Laltra rimase, e cominciò quest arte
  che tu discerni, con tanto diletto,
  che mai da circüir non si diparte.
  Principio del cader fu il maladetto
  superbir di colui che tu vedesti
  da tutti i pesi del mondo costretto.
  Quelli che vedi qui furon modesti
  a riconoscer sé da la bontate
  che li avea fatti a tanto intender presti:
  per che le viste lor furo essaltate
  con grazia illuminante e con lor merto,
  si channo ferma e piena volontate;
  e non voglio che dubbi, ma sia certo,
  che ricever la grazia è meritorio
  secondo che laffetto lè aperto.
  Omai dintorno a questo consistorio
  puoi contemplare assai, se le parole
  mie son ricolte, sanz altro aiutorio.
  Ma perché n terra per le vostre scole
  si legge che langelica natura
  è tal, che ntende e si ricorda e vole,
  ancor dirò, perché tu veggi pura
  la verità che là giù si confonde,
  equivocando in sì fatta lettura.
  Queste sustanze, poi che fur gioconde
  de la faccia di Dio, non volser viso
  da essa, da cui nulla si nasconde:
  però non hanno vedere interciso
  da novo obietto, e però non bisogna
  rememorar per concetto diviso;
  sì che là giù, non dormendo, si sogna,
  credendo e non credendo dicer vero;
  ma ne luno è più colpa e più vergogna.
  Voi non andate giù per un sentiero
  filosofando: tanto vi trasporta
  lamor de lapparenza e l suo pensiero!
  E ancor questo qua sù si comporta
  con men disdegno che quando è posposta
  la divina Scrittura o quando è torta.
  Non vi si pensa quanto sangue costa
  seminarla nel mondo e quanto piace
  chi umilmente con essa saccosta.
  Per apparer ciascun singegna e face
  sue invenzioni; e quelle son trascorse
  da predicanti e l Vangelio si tace.
  Un dice che la luna si ritorse
  ne la passion di Cristo e sinterpuose,
  per che l lume del sol giù non si porse;
  e mente, ché la luce si nascose
  da sé: però a li Spani e a lIndi
  come a Giudei tale eclissi rispuose.
  Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
  quante sì fatte favole per anno
  in pergamo si gridan quinci e quindi:
  sì che le pecorelle, che non sanno,
  tornan del pasco pasciute di vento,
  e non le scusa non veder lo danno.
  Non disse Cristo al suo primo convento:
  Andate, e predicate al mondo ciance;
  ma diede lor verace fondamento;
  e quel tanto sonò ne le sue guance,
  sì cha pugnar per accender la fede
  de lEvangelio fero scudo e lance.
  Ora si va con motti e con iscede
  a predicare, e pur che ben si rida,
  gonfia il cappuccio e più non si richiede.
  Ma tale uccel nel becchetto sannida,
  che se l vulgo il vedesse, vederebbe
  la perdonanza di chel si confida:
  per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
  che, sanza prova dalcun testimonio,
  ad ogne promession si correrebbe.
  Di questo ingrassa il porco sant Antonio,
  e altri assai che sono ancor più porci,
  pagando di moneta sanza conio.
  Ma perché siam digressi assai, ritorci
  li occhi oramai verso la dritta strada,
  sì che la via col tempo si raccorci.
  Questa natura sì oltre singrada
  in numero, che mai non fu loquela
  né concetto mortal che tanto vada;
  e se tu guardi quel che si revela
  per Danïel, vedrai che n sue migliaia
  determinato numero si cela.
  La prima luce, che tutta la raia,
  per tanti modi in essa si recepe,
  quanti son li splendori a chi sappaia.
  Onde, però che a latto che concepe
  segue laffetto, damar la dolcezza
  diversamente in essa ferve e tepe.
  Vedi leccelso omai e la larghezza
  de letterno valor, poscia che tanti
  speculi fatti sha in che si spezza,
  uno manendo in sé come davanti».
  Forse semilia miglia di lontano
  ci ferve lora sesta, e questo mondo
  china già lombra quasi al letto piano,
  quando l mezzo del cielo, a noi profondo,
  comincia a farsi tal, chalcuna stella
  perde il parere infino a questo fondo;
  e come vien la chiarissima ancella
  del sol più oltre, così l ciel si chiude
  di vista in vista infino a la più bella.
  Non altrimenti il trïunfo che lude
  sempre dintorno al punto che mi vinse,
  parendo inchiuso da quel chelli nchiude,
  a poco a poco al mio veder si stinse:
  per che tornar con li occhi a Bëatrice
  nulla vedere e amor mi costrinse.
  Se quanto infino a qui di lei si dice
  fosse conchiuso tutto in una loda,
  poca sarebbe a fornir questa vice.
  La bellezza chio vidi si trasmoda
  non pur di là da noi, ma certo io credo
  che solo il suo fattor tutta la goda.
  Da questo passo vinto mi concedo
  più che già mai da punto di suo tema
  soprato fosse comico o tragedo:
  ché, come sole in viso che più trema,
  così lo rimembrar del dolce riso
  la mente mia da me medesmo scema.
  Dal primo giorno chi vidi il suo viso
  in questa vita, infino a questa vista,
  non mè il seguire al mio cantar preciso;
  ma or convien che mio seguir desista
  più dietro a sua bellezza, poetando,
  come a lultimo suo ciascuno artista.
  Cotal qual io lascio a maggior bando
  che quel de la mia tuba, che deduce
  lardüa sua matera terminando,
  con atto e voce di spedito duce
  ricominciò: «Noi siamo usciti fore
  del maggior corpo al ciel chè pura luce:
  luce intellettüal, piena damore;
  amor di vero ben, pien di letizia;
  letizia che trascende ogne dolzore.
  Qui vederai luna e laltra milizia
  di paradiso, e luna in quelli aspetti
  che tu vedrai a lultima giustizia».
  Come sùbito lampo che discetti
  li spiriti visivi, sì che priva
  da latto locchio di più forti obietti,
  così mi circunfulse luce viva,
  e lasciommi fasciato di tal velo
  del suo fulgor, che nulla mappariva.
  «Sempre lamor che queta questo cielo
  accoglie in sé con sì fatta salute,
  per far disposto a sua fiamma il candelo».
  Non fur più tosto dentro a me venute
  queste parole brievi, chio compresi
  me sormontar di sopr a mia virtute;
  e di novella vista mi raccesi
  tale, che nulla luce è tanto mera,
  che li occhi miei non si fosser difesi;
  e vidi lume in forma di rivera
  fulvido di fulgore, intra due rive
  dipinte di mirabil primavera.
  Di tal fiumana uscian faville vive,
  e dogne parte si mettien ne fiori,
  quasi rubin che oro circunscrive;
  poi, come inebrïate da li odori,
  riprofondavan sé nel miro gurge,
  e suna intrava, unaltra nuscia fori.
  «Lalto disio che mo tinfiamma e urge,
  daver notizia di ciò che tu vei,
  tanto mi piace più quanto più turge;
  ma di quest acqua convien che tu bei
  prima che tanta sete in te si sazi»:
  così mi disse il sol de li occhi miei.
  Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
  chentrano ed escono e l rider de lerbe
  son di lor vero umbriferi prefazi.
  Non che da sé sian queste cose acerbe;
  ma è difetto da la parte tua,
  che non hai viste ancor tanto superbe».
  Non è fantin che sì sùbito rua
  col volto verso il latte, se si svegli
  molto tardato da lusanza sua,
  come fec io, per far migliori spegli
  ancor de li occhi, chinandomi a londa
  che si deriva perché vi simmegli;
  e sì come di lei bevve la gronda
  de le palpebre mie, così mi parve
  di sua lunghezza divenuta tonda.
  Poi, come gente stata sotto larve,
  che pare altro che prima, se si sveste
  la sembianza non süa in che disparve,
  così mi si cambiaro in maggior feste
  li fiori e le faville, sì chio vidi
  ambo le corti del ciel manifeste.
  O isplendor di Dio, per cu io vidi
  lalto trïunfo del regno verace,
  dammi virtù a dir com ïo il vidi!
  Lume è là sù che visibile face
  lo creatore a quella creatura
  che solo in lui vedere ha la sua pace.
  E si distende in circular figura,
  in tanto che la sua circunferenza
  sarebbe al sol troppo larga cintura.
  Fassi di raggio tutta sua parvenza
  reflesso al sommo del mobile primo,
  che prende quindi vivere e potenza.
  E come clivo in acqua di suo imo
  si specchia, quasi per vedersi addorno,
  quando è nel verde e ne fioretti opimo,
  sì, soprastando al lume intorno intorno,
  vidi specchiarsi in più di mille soglie
  quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
  E se linfimo grado in sé raccoglie
  sì grande lume, quanta è la larghezza
  di questa rosa ne lestreme foglie!
  La vista mia ne lampio e ne laltezza
  non si smarriva, ma tutto prendeva
  il quanto e l quale di quella allegrezza.
  Presso e lontano, lì, né pon né leva:
  ché dove Dio sanza mezzo governa,
  la legge natural nulla rileva.
  Nel giallo de la rosa sempiterna,
  che si digrada e dilata e redole
  odor di lode al sol che sempre verna,
  qual è colui che tace e dicer vole,
  mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
  quanto è l convento de le bianche stole!
  Vedi nostra città quant ella gira;
  vedi li nostri scanni sì ripieni,
  che poca gente più ci si disira.
  E n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
  per la corona che già vè sù posta,
  prima che tu a queste nozze ceni,
  sederà lalma, che fia giù agosta,
  de lalto Arrigo, cha drizzare Italia
  verrà in prima chella sia disposta.
  La cieca cupidigia che vammalia
  simili fatti vha al fantolino
  che muor per fame e caccia via la balia.
  E fia prefetto nel foro divino
  allora tal, che palese e coverto
  non anderà con lui per un cammino.
  Ma poco poi sarà da Dio sofferto
  nel santo officio; chel sarà detruso
  là dove Simon mago è per suo merto,
  e farà quel dAlagna intrar più giuso».
  In forma dunque di candida rosa
  mi si mostrava la milizia santa
  che nel suo sangue Cristo fece sposa;
  ma laltra, che volando vede e canta
  la gloria di colui che la nnamora
  e la bontà che la fece cotanta,
  sì come schiera dape che sinfiora
  una fïata e una si ritorna
  là dove suo laboro sinsapora,
  nel gran fior discendeva che saddorna
  di tante foglie, e quindi risaliva
  là dove l süo amor sempre soggiorna.
  Le facce tutte avean di fiamma viva
  e lali doro, e laltro tanto bianco,
  che nulla neve a quel termine arriva.
  Quando scendean nel fior, di banco in banco
  porgevan de la pace e de lardore
  chelli acquistavan ventilando il fianco.
  Né linterporsi tra l disopra e l fiore
  di tanta moltitudine volante
  impediva la vista e lo splendore:
  ché la luce divina è penetrante
  per luniverso secondo chè degno,
  sì che nulla le puote essere ostante.
  Questo sicuro e gaudïoso regno,
  frequente in gente antica e in novella,
  viso e amore avea tutto ad un segno.
  O trina luce che n unica stella
  scintillando a lor vista, sì li appaga!
  guarda qua giuso a la nostra procella!
  Se i barbari, venendo da tal plaga
  che ciascun giorno dElice si cuopra,
  rotante col suo figlio ond ella è vaga,
  veggendo Roma e lardüa sua opra,
  stupefaciensi, quando Laterano
  a le cose mortali andò di sopra;
  ïo, che al divino da lumano,
  a letterno dal tempo era venuto,
  e di Fiorenza in popol giusto e sano,
  di che stupor dovea esser compiuto!
  Certo tra esso e l gaudio mi facea
  libito non udire e starmi muto.
  E quasi peregrin che si ricrea
  nel tempio del suo voto riguardando,
  e spera già ridir com ello stea,
  su per la viva luce passeggiando,
  menava ïo li occhi per li gradi,
  mo sù, mo giù e mo recirculando.
  Vedëa visi a carità süadi,
  daltrui lume fregiati e di suo riso,
  e atti ornati di tutte onestadi.
  La forma general di paradiso
  già tutta mïo sguardo avea compresa,
  in nulla parte ancor fermato fiso;
  e volgeami con voglia rïaccesa
  per domandar la mia donna di cose
  di che la mente mia era sospesa.
  Uno intendëa, e altro mi rispuose:
  credea veder Beatrice e vidi un sene
  vestito con le genti glorïose.
  Diffuso era per li occhi e per le gene
  di benigna letizia, in atto pio
  quale a tenero padre si convene.
  E «Ov è ella?», sùbito diss io.
  Ond elli: «A terminar lo tuo disiro
  mosse Beatrice me del loco mio;
  e se riguardi sù nel terzo giro
  dal sommo grado, tu la rivedrai
  nel trono che suoi merti le sortiro».
  Sanza risponder, li occhi sù levai,
  e vidi lei che si facea corona
  reflettendo da sé li etterni rai.
  Da quella regïon che più sù tona
  occhio mortale alcun tanto non dista,
  qualunque in mare più giù sabbandona,
  quanto lì da Beatrice la mia vista;
  ma nulla mi facea, ché süa effige
  non discendëa a me per mezzo mista.
  «O donna in cui la mia speranza vige,
  e che soffristi per la mia salute
  in inferno lasciar le tue vestige,
  di tante cose quant i ho vedute,
  dal tuo podere e da la tua bontate
  riconosco la grazia e la virtute.
  Tu mhai di servo tratto a libertate
  per tutte quelle vie, per tutt i modi
  che di ciò fare avei la potestate.
  La tua magnificenza in me custodi,
  sì che lanima mia, che fatt hai sana,
  piacente a te dal corpo si disnodi».
  Così orai; e quella, sì lontana
  come parea, sorrise e riguardommi;
  poi si tornò a letterna fontana.
  E l santo sene: «Acciò che tu assommi
  perfettamente», disse, «il tuo cammino,
  a che priego e amor santo mandommi,
  vola con li occhi per questo giardino;
  ché veder lui tacconcerà lo sguardo
  più al montar per lo raggio divino.
  E la regina del cielo, ond ïo ardo
  tutto damor, ne farà ogne grazia,
  però chi sono il suo fedel Bernardo».
  Qual è colui che forse di Croazia
  viene a veder la Veronica nostra,
  che per lantica fame non sen sazia,
  ma dice nel pensier, fin che si mostra:
  Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
  or fu sì fatta la sembianza vostra?;
  tal era io mirando la vivace
  carità di colui che n questo mondo,
  contemplando, gustò di quella pace.
  «Figliuol di grazia, quest esser giocondo»,
  cominciò elli, «non ti sarà noto,
  tenendo li occhi pur qua giù al fondo;
  ma guarda i cerchi infino al più remoto,
  tanto che veggi seder la regina
  cui questo regno è suddito e devoto».
  Io levai li occhi; e come da mattina
  la parte orïental de lorizzonte
  soverchia quella dove l sol declina,
  così, quasi di valle andando a monte
  con li occhi, vidi parte ne lo stremo
  vincer di lume tutta laltra fronte.
  E come quivi ove saspetta il temo
  che mal guidò Fetonte, più sinfiamma,
  e quinci e quindi il lume si fa scemo,
  così quella pacifica oriafiamma
  nel mezzo savvivava, e dogne parte
  per igual modo allentava la fiamma;
  e a quel mezzo, con le penne sparte,
  vid io più di mille angeli festanti,
  ciascun distinto di fulgore e darte.
  Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
  ridere una bellezza, che letizia
  era ne li occhi a tutti li altri santi;
  e sio avessi in dir tanta divizia
  quanta ad imaginar, non ardirei
  lo minimo tentar di sua delizia.
  Bernardo, come vide li occhi miei
  nel caldo suo caler fissi e attenti,
  li suoi con tanto affetto volse a lei,
  che  miei di rimirar fé più ardenti.
  Affetto al suo piacer, quel contemplante
  libero officio di dottore assunse,
  e cominciò queste parole sante:
  «La piaga che Maria richiuse e unse,
  quella chè tanto bella da suoi piedi
  è colei che laperse e che la punse.
  Ne lordine che fanno i terzi sedi,
  siede Rachel di sotto da costei
  con Bëatrice, sì come tu vedi.
  Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
  che fu bisava al cantor che per doglia
  del fallo disse Miserere mei,
  puoi tu veder così di soglia in soglia
  giù digradar, com io cha proprio nome
  vo per la rosa giù di foglia in foglia.
  E dal settimo grado in giù, sì come
  infino ad esso, succedono Ebree,
  dirimendo del fior tutte le chiome;
  perché, secondo lo sguardo che fée
  la fede in Cristo, queste sono il muro
  a che si parton le sacre scalee.
  Da questa parte onde l fiore è maturo
  di tutte le sue foglie, sono assisi
  quei che credettero in Cristo venturo;
  da laltra parte onde sono intercisi
  di vòti i semicirculi, si stanno
  quei cha Cristo venuto ebber li visi.
  E come quinci il glorïoso scanno
  de la donna del cielo e li altri scanni
  di sotto lui cotanta cerna fanno,
  così di contra quel del gran Giovanni,
  che sempre santo l diserto e l martiro
  sofferse, e poi linferno da due anni;
  e sotto lui così cerner sortiro
  Francesco, Benedetto e Augustino
  e altri fin qua giù di giro in giro.
  Or mira lalto proveder divino:
  ché luno e laltro aspetto de la fede
  igualmente empierà questo giardino.
  E sappi che dal grado in giù che fiede
  a mezzo il tratto le due discrezioni,
  per nullo proprio merito si siede,
  ma per laltrui, con certe condizioni:
  ché tutti questi son spiriti ascolti
  prima chavesser vere elezïoni.
  Ben te ne puoi accorger per li volti
  e anche per le voci püerili,
  se tu li guardi bene e se li ascolti.
  Or dubbi tu e dubitando sili;
  ma io discioglierò l forte legame
  in che ti stringon li pensier sottili.
  Dentro a lampiezza di questo reame
  casüal punto non puote aver sito,
  se non come tristizia o sete o fame:
  ché per etterna legge è stabilito
  quantunque vedi, sì che giustamente
  ci si risponde da lanello al dito;
  e però questa festinata gente
  a vera vita non è sine causa
  intra sé qui più e meno eccellente.
  Lo rege per cui questo regno pausa
  in tanto amore e in tanto diletto,
  che nulla volontà è di più ausa,
  le menti tutte nel suo lieto aspetto
  creando, a suo piacer di grazia dota
  diversamente; e qui basti leffetto.
  E ciò espresso e chiaro vi si nota
  ne la Scrittura santa in quei gemelli
  che ne la madre ebber lira commota.
  Però, secondo il color di capelli,
  di cotal grazia laltissimo lume
  degnamente convien che sincappelli.
  Dunque, sanza mercé di lor costume,
  locati son per gradi differenti,
  sol differendo nel primiero acume.
  Bastavasi ne secoli recenti
  con linnocenza, per aver salute,
  solamente la fede di parenti;
  poi che le prime etadi fuor compiute,
  convenne ai maschi a linnocenti penne
  per circuncidere acquistar virtute;
  ma poi che l tempo de la grazia venne,
  sanza battesmo perfetto di Cristo
  tale innocenza là giù si ritenne.
  Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
  più si somiglia, ché la sua chiarezza
  sola ti può disporre a veder Cristo».
  Io vidi sopra lei tanta allegrezza
  piover, portata ne le menti sante
  create a trasvolar per quella altezza,
  che quantunque io avea visto davante,
  di tanta ammirazion non mi sospese,
  né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
  e quello amor che primo lì discese,
  cantando Ave, Maria, gratïa plena,
  dinanzi a lei le sue ali distese.
  Rispuose a la divina cantilena
  da tutte parti la beata corte,
  sì chogne vista sen fé più serena.
  «O santo padre, che per me comporte
  lesser qua giù, lasciando il dolce loco
  nel qual tu siedi per etterna sorte,
  qual è quell angel che con tanto gioco
  guarda ne li occhi la nostra regina,
  innamorato sì che par di foco?».
  Così ricorsi ancora a la dottrina
  di colui chabbelliva di Maria,
  come del sole stella mattutina.
  Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
  quant esser puote in angelo e in alma,
  tutta è in lui; e sì volem che sia,
  perch elli è quelli che portò la palma
  giuso a Maria, quando l Figliuol di Dio
  carcar si volse de la nostra salma.
  Ma vieni omai con li occhi sì com io
  andrò parlando, e nota i gran patrici
  di questo imperio giustissimo e pio.
  Quei due che seggon là sù più felici
  per esser propinquissimi ad Agusta,
  son desta rosa quasi due radici:
  colui che da sinistra le saggiusta
  è il padre per lo cui ardito gusto
  lumana specie tanto amaro gusta;
  dal destro vedi quel padre vetusto
  di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
  raccomandò di questo fior venusto.
  E quei che vide tutti i tempi gravi,
  pria che morisse, de la bella sposa
  che sacquistò con la lancia e coi clavi,
  siede lungh esso, e lungo laltro posa
  quel duca sotto cui visse di manna
  la gente ingrata, mobile e retrosa.
  Di contr a Pietro vedi sedere Anna,
  tanto contenta di mirar sua figlia,
  che non move occhio per cantare osanna;
  e contro al maggior padre di famiglia
  siede Lucia, che mosse la tua donna
  quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
  Ma perché l tempo fugge che tassonna,
  qui farem punto, come buon sartore
  che com elli ha del panno fa la gonna;
  e drizzeremo li occhi al primo amore,
  sì che, guardando verso lui, penètri
  quant è possibil per lo suo fulgore.
  Veramente, ne forse tu tarretri
  movendo lali tue, credendo oltrarti,
  orando grazia conven che simpetri
  grazia da quella che puote aiutarti;
  e tu mi seguirai con laffezione,
  sì che dal dicer mio lo cor non parti».
  E cominciò questa santa orazione:
  «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
  umile e alta più che creatura,
  termine fisso detterno consiglio,
  tu se colei che lumana natura
  nobilitasti sì, che l suo fattore
  non disdegnò di farsi sua fattura.
  Nel ventre tuo si raccese lamore,
  per lo cui caldo ne letterna pace
  così è germinato questo fiore.
  Qui se a noi meridïana face
  di caritate, e giuso, intra  mortali,
  se di speranza fontana vivace.
  Donna, se tanto grande e tanto vali,
  che qual vuol grazia e a te non ricorre,
  sua disïanza vuol volar sanz ali.
  La tua benignità non pur soccorre
  a chi domanda, ma molte fïate
  liberamente al dimandar precorre.
  In te misericordia, in te pietate,
  in te magnificenza, in te saduna
  quantunque in creatura è di bontate.
  Or questi, che da linfima lacuna
  de luniverso infin qui ha vedute
  le vite spiritali ad una ad una,
  supplica a te, per grazia, di virtute
  tanto, che possa con li occhi levarsi
  più alto verso lultima salute.
  E io, che mai per mio veder non arsi
  più chi fo per lo suo, tutti miei prieghi
  ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
  perché tu ogne nube li disleghi
  di sua mortalità co prieghi tuoi,
  sì che l sommo piacer li si dispieghi.
  Ancor ti priego, regina, che puoi
  ciò che tu vuoli, che conservi sani,
  dopo tanto veder, li affetti suoi.
  Vinca tua guardia i movimenti umani:
  vedi Beatrice con quanti beati
  per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
  Li occhi da Dio diletti e venerati,
  fissi ne lorator, ne dimostraro
  quanto i devoti prieghi le son grati;
  indi a letterno lume saddrizzaro,
  nel qual non si dee creder che sinvii
  per creatura locchio tanto chiaro.
  E io chal fine di tutt i disii
  appropinquava, sì com io dovea,
  lardor del desiderio in me finii.
  Bernardo maccennava, e sorridea,
  perch io guardassi suso; ma io era
  già per me stesso tal qual ei volea:
  ché la mia vista, venendo sincera,
  e più e più intrava per lo raggio
  de lalta luce che da sé è vera.
  Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
  che l parlar mostra, cha tal vista cede,
  e cede la memoria a tanto oltraggio.
  Qual è colüi che sognando vede,
  che dopo l sogno la passione impressa
  rimane, e laltro a la mente non riede,
  cotal son io, ché quasi tutta cessa
  mia visïone, e ancor mi distilla
  nel core il dolce che nacque da essa.
  Così la neve al sol si disigilla;
  così al vento ne le foglie levi
  si perdea la sentenza di Sibilla.
  O somma luce che tanto ti levi
  da concetti mortali, a la mia mente
  ripresta un poco di quel che parevi,
  e fa la lingua mia tanto possente,
  chuna favilla sol de la tua gloria
  possa lasciare a la futura gente;
  ché, per tornare alquanto a mia memoria
  e per sonare un poco in questi versi,
  più si conceperà di tua vittoria.
  Io credo, per lacume chio soffersi
  del vivo raggio, chi sarei smarrito,
  se li occhi miei da lui fossero aversi.
  E mi ricorda chio fui più ardito
  per questo a sostener, tanto chi giunsi
  laspetto mio col valore infinito.
  Oh abbondante grazia ond io presunsi
  ficcar lo viso per la luce etterna,
  tanto che la veduta vi consunsi!
  Nel suo profondo vidi che sinterna,
  legato con amore in un volume,
  ciò che per luniverso si squaderna:
  sustanze e accidenti e lor costume
  quasi conflati insieme, per tal modo
  che ciò chi dico è un semplice lume.
  La forma universal di questo nodo
  credo chi vidi, perché più di largo,
  dicendo questo, mi sento chi godo.
  Un punto solo mè maggior letargo
  che venticinque secoli a la mpresa
  che fé Nettuno ammirar lombra dArgo.
  Così la mente mia, tutta sospesa,
  mirava fissa, immobile e attenta,
  e sempre di mirar faceasi accesa.
  A quella luce cotal si diventa,
  che volgersi da lei per altro aspetto
  è impossibil che mai si consenta;
  però che l ben, chè del volere obietto,
  tutto saccoglie in lei, e fuor di quella
  è defettivo ciò chè lì perfetto.
  Omai sarà più corta mia favella,
  pur a quel chio ricordo, che dun fante
  che bagni ancor la lingua a la mammella.
  Non perché più chun semplice sembiante
  fosse nel vivo lume chio mirava,
  che tal è sempre qual sera davante;
  ma per la vista che savvalorava
  in me guardando, una sola parvenza,
  mutandom io, a me si travagliava.
  Ne la profonda e chiara sussistenza
  de lalto lume parvermi tre giri
  di tre colori e duna contenenza;
  e lun da laltro come iri da iri
  parea reflesso, e l terzo parea foco
  che quinci e quindi igualmente si spiri.
  Oh quanto è corto il dire e come fioco
  al mio concetto! e questo, a quel chi vidi,
  è tanto, che non basta a dicer poco.
  O luce etterna che sola in te sidi,
  sola tintendi, e da te intelletta
  e intendente te ami e arridi!
  Quella circulazion che sì concetta
  pareva in te come lume reflesso,
  da li occhi miei alquanto circunspetta,
  dentro da sé, del suo colore stesso,
  mi parve pinta de la nostra effige:
  per che l mio viso in lei tutto era messo.
  Qual è l geomètra che tutto saffige
  per misurar lo cerchio, e non ritrova,
  pensando, quel principio ond elli indige,
  tal era io a quella vista nova:
  veder voleva come si convenne
  limago al cerchio e come vi sindova;
  ma non eran da ciò le proprie penne:
  se non che la mia mente fu percossa
  da un fulgore in che sua voglia venne.
  A lalta fantasia qui mancò possa;
  ma già volgeva il mio disio e l velle,
  sì come rota chigualmente è mossa,
  lamor che move il sole e laltre stelle.
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  TAVOLA DEI CARATTERI SPECIALI
  TABLE OF SPECIAL CHARACTERS
      à = a grave
      è = e grave
      ì = i grave
      ò = o grave
      ù = u grave
      é = e acute
      ó = o acute
      ä = a uml
      ë = e uml
      ï = i uml
      ö = o uml
      ü = u uml
      È = E grave
      Ë = E uml
      Ï = I uml
      « = left angle quotation mark
      » = right angle quotation mark
       = left double quotation mark
       = right double quotation mark
       = left single quotation mark
       = right single quotation mark
       = em dash
       = middot
  . . . = ellipsis